venerdì 29 novembre 2013
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Il combinato disposto delle riforme della previdenza prima e del lavoro poi, intervenute mentre infuriava la più grande crisi economica dal Dopoguerra, ha provocato una miscela letale per l’occupazione e in particolare per quella dei più giovani.

 I dati Istat sull’occupazione nel terzo trimestre, infatti, non mostrano solo l’ennesimo calo del numero dei lavoratori, ma indicano come siano in particolare i ragazzi tra i 16 e i 24 anni a pagare il prezzo più alto in termini di disoccupazione relativa e di perdita di occasioni di impiego. Gli ultracinquantenni, invece, tengono bene, anzi il tasso di occupazione nella fascia d’età fino ai 64 anni aumenta. E’ la conseguenza dell’innalzamento dei requisti per la pensione che sta “trattenendo” al lavoro molti dipendenti “anziani”, impendendo parte del turn over.

Anzitutto sui giovani si sono poi scaricate le ristrutturazioni e i tagli dei costi da parte delle aziende, che all’inizio della crisi hanno cancellato per primi contratti a termine e collaborazioni. Ma poi sono state le regole più stringenti, adottate con la riforma del lavoro Fornero (solo in parte corrette dal governo Letta), a impedire a quelle stesse aziende di effettuare le poche assunzioni (a termine appunto) che una ripresa tuttora assai incerta poteva pur portare in questi ultimi mesi, aggravando così ulteriormente la situazione.

L’occupazione, insomma, sta soffrendo ancora in maniera piena della recessione, e in particolare del calo dei consumi interni, come dimostra la perdita di posti nel terziario, oltre che nell’industria. Ma non di meno, sta pagando un tributo pesante alle astratte ricette sul lavoro adottate senza tener conto del contesto in cui venivano applicate. In una fase di crisi, assai più che in un periodo di crescita, infatti, meglio un lavoro purché sia - di collaborazione, a termine, pure precario - piuttosto che il nulla totale al quale sembra oggi condannata un’intera generazione.

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