venerdì 31 maggio 2024
Il presidente del gruppo dell'automotive ad "Avvenire": «La contesa giudiziaria con mia madre? Insieme ai miei fratelli fin da piccoli abbiamo subito violenze fisiche e psicologiche»
John Elkann, presidente di Stellantis e Ferrari

John Elkann, presidente di Stellantis e Ferrari - Ansa

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Le ambizioni per il futuro, i numeri del presente, le impronte indelebili lasciate da chi ha aperto la via nel passato. Nella casa che fu del Senatore e che oggi è sede della Fondazione Agnelli, a vent’anni esatti dalla rivoluzione al vertice che lo vide lavorare al rilancio di Fiat accanto a Sergio Marchionne, John Elkann, presidente di Stellantis, sceglie Avvenire per intervenire sul futuro dell’industria, dell’automotive e in particolare sull’impegno della sua famiglia per l’auto in Italia: «Con la mia famiglia siamo impegnati in prima persona nel nostro Paese in una storia imprenditoriale che copre tre secoli: costruiamo con orgoglio un futuro forte in Italia e nel mondo». Inevitabile un doloroso passaggio sulla vicenda personale e giudiziaria dell’eredità contesa dalla madre Margherita.

Ingegnere, il primo giugno 2004 iniziava l’era Marchionne e lei dopo sette anni in cda assumeva la carica di vice presidente. Qual è il suo bilancio?

Vent’anni fa tutti davano la Fiat per morta, ma non è andata così: grazie all’impegno della mia famiglia, la guida di Sergio e il lavoro di tutte le persone coinvolte, abbiamo cambiato un destino che sembrava segnato. Questo ci ha inculcato un forte senso di sopravvivenza, che alla fine è il tratto comune delle quattro società che oggi compongono Stellantis: Fiat, Chrysler, Peugeot e Opel.

Qual è l’immagine più significativa che le è rimasta di questi vent’anni?

Il lancio della 500 nell’estate del 2007 a Torino sulle rive del Po è stato un momento di festa e di forti emozioni. Insieme alla nostra città celebrammo il rilancio del gruppo che non solo diventava possibile, ma stava già avvenendo.

Che cosa ha rappresentato Sergio Marchionne per lei?

Ci ripensavo a settembre dell’anno scorso, quando sono andato al cimitero di Toronto dove riposa con i suoi genitori e sua sorella. Abbiamo avuto un forte rapporto professionale, che è poi diventato amicizia e complicità. Sergio aveva un’umanità unica: disponeva di una capacità di comprendere le persone con una sensibilità che hanno in pochi.

E che cosa ha rappresentato, invece, per la Fiat?

Ha trasformato la Fiat e le ha permesso di cogliere una sfida come quella di Chrysler, che le ha aperto le porte del mondo. E poi ha dato avvio alla trasformazione della Fiat in quattro realtà competitive sui mercati globali: Stellantis, e poi Ferrari, Cnh e Iveco.

Per molti osservatori, compresi i sindacati, dal punto di vista industriale in questi vent’anni l’Italia ci ha perso più che guadagnato: perché?

Guardiamo ai fatti: il nostro destino 20 anni fa era quello dell’Olivetti, una delle grandi realtà del nostro Paese. Che con il susseguirsi di diverse proprietà, cattiva gestione e ingegneria finanziaria che prendeva il posto dell’ingegneria di prodotto, oggi non esiste più. Un’altra possibilità, ugualmente infelice, era la nazionalizzazione, come nel caso dell’Alitalia o dell’Ilva. E invece non è andata così, lo dicono i numeri.

Quali?

Oggi l’insieme delle nostre aziende dà lavoro a più di 74mila persone in Italia, dove abbiamo investito negli ultimi cinque anni 14 miliardi, creando prodotti competitivi sui mercati mondiali. Ricordo ancora la nostra emozione nel vedere le prime Jeep uscire dalle linee di Melfi e le navi che erano state acquistate per trasportarle dalla Basilicata all’America.

Però con il Governo Meloni i rapporti non sono stati particolarmente cordiali.

Il nostro rapporto con il governo italiano, così come con i governi di tutti i paesi dove operiamo, è di massimo rispetto, sempre alla ricerca del dialogo. E siamo sempre pronti a confrontarci, per condividere le nostre prospettive e quelle dei paesi dove siamo presenti.

Lunedì il consigliere delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha annunciato ai sindacati che a Mirafiori arriverà la tanto attesa nuova 500 ibrida, che in prospettiva garantirà volumi importanti. Ma per la nuova linea bisognerà attendere fino al 2026.

Mirafiori negli ultimi anni ha beneficiato di investimenti che hanno permesso l’avvio di attività addizionali alla produzione di auto: abbiamo inaugurato il centro di ricerca e di test sulle batterie elettriche, la produzione delle trasmissioni elettrificate, il campus di uffici sostenibili e il centro per l’economia circolare. E questo grazie anche alla lungimiranza di un sindaco, Stefano Lo Russo, e di un presidente di Regione, Alberto Cirio, peraltro di colori politici diversi: il percorso che stiamo tracciando, che include la nuova 500 ibrida, è frutto anche di questa buona politica.

Tornerete finalmente ad assumere giovani? L’età media dei lavoratori della grande fabbrica è di 50 anni, per i sindacati lo stabilimento rischia di spegnersi per morte naturale.

Carlos Tavares lo ha detto chiaramente: abbiamo condiviso un piano per Mirafiori e per tutti gli stabilimenti italiani, che potranno creare nuove opportunità di lavoro per i giovani.

In molti parlano di una Stellantis a trazione francese, se non di una vera e propria vendita mascherata.

Dicevano la stessa cosa con l’operazione Fca: «Ora comanda Detroit ». La realtà è che Stellantis opera in tutto il mondo, ha forti radici in America, Francia e Italia, e nel suo top management ci sono tante nazionalità: l’ad è portoghese, la responsabile finanziaria è americana, il capo della tecnologia è croato. Guardando ai marchi: il responsabile del marchio Jeep è italiano, quello di Peugeot inglese, quello dell’Alfa Romeo è francese. È nel pieno rispetto delle identità nazionali che sta la vera forza e la ricchezza di Stellantis.

I componentisti denunciano una preferenza per i fornitori transalpini.

C’era la stessa percezione all’epoca di Chrysler. La realtà è che si sono aperte nuove opportunità. Come nel caso di Brembo, che ha saputo accompagnarci nel mondo.

Il primo trimestre 2024, soprattutto per alcuni produttori, ha fatto segnare una pesante inversione di tendenza rispetto al 2023, e le sfide – come si diceva – sono tante dal punto di vista tecnologico e regolatorio, oltre che geopolitico. Siamo alla vigilia di una nuova fase di consolidamento?

Oggi la partita per la sopravvivenza si gioca tutta sulla velocità: quella con cui i costruttori storici riusciranno ad adattarsi all’elettrificazione, ma anche la rapidità con cui i nuovi protagonisti si affacceranno sul mercato.

In occasione del Primo Maggio, l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, facendo riferimento alle vicende Stellantis ha detto che «se la scelta di abbandonare il nostro territorio può essere compresa quando è necessaria per la sopravvivenza dell’azienda, non mi pare possa essere accettabile quando risponde alla logica di moltiplicare in modo esasperato i profitti: credo che esistano limiti all’accumulo della ricchezza, oltre i quali non è legittimo sacrificare la vita delle persone». Come ha reagito?

Sono parole che ho ascoltato con attenzione: nella vita delle comunità, la Chiesa ha un ruolo fondamentale, e ogni richiamo è uno stimolo a fare meglio e a impegnarsi di più, nel nostro lavoro e nel sociale.

Non vede una questione di profitti eccessivi?

Nella vita delle aziende, i profitti sono importanti per investire nel futuro. E quando ci sono, vanno condivisi tramite le tasse, i premi e i dividendi. Da quanto è nata, Stellantis ha distribuito 6 miliardi di euro in premi ai lavoratori e ha lanciato un piano di azionariato per i dipendenti che ha raccolto grande successo. E in Italia i premi annuali medi sono cresciuti da circa 1.400 euro nel 2022 a oltre 2.100 nel 2024, legati al miglioramento dei nostri risultati.

Per la sua famiglia vede un futuro in Italia e a Torino?

Nonostante il lavoro mi porti prevalentemente fuori dall’Italia, abbiamo deciso con mia moglie di abitare a Torino: qui sono nati i nostri figli e qui sono stati battezzati e vanno a scuola. Le nostre radici sono a Torino, un territorio a cui ci sentiamo legati e sul quale continuiamo a rafforzare il nostro impegno sociale.

In che modo si articola, e con quali priorità?

Da anni sono attive, soprattutto a Torino ma non solo, quattro fondazioni legate alla mia famiglia: la Fondazione Agnelli, che promuove ricerche e progetti concreti sulla scuola; la Pinacoteca Agnelli impegnata sull’arte; la Fondazione Specchio dei Tempi che affronta le emergenze sociali; e la Fondazione per la ricerca contro il cancro di Candiolo attiva in campo sanitario.

In termini economici quale impegno dispiegano?

Già oggi il beneficio che portano alla comunità credo sia notevole: tutte insieme ogni anno apportano al territorio circa 50 milioni di euro che vanno a migliorare concretamente la vita di tante persone.

C’è un’iniziativa che ritiene particolarmente significativa?

Se penso al futuro dell’Italia, senza dubbio l’iniziativa Vento, il nostro contributo all’ecosistema dell’innovazione del Paese. Abbiamo finanziato 70 nuove imprese fondate da giovani italiani, cosa che fa di noi il più grande investitore di start up in Italia. Inoltre, abbiamo anche un programma specifico per incoraggiare la nascita di nuove imprese innovative: negli ultimi 3 anni abbiamo accompagnato 110 giovani talenti passo dopo passo, fino alla creazione della loro azienda. Vedo grande capacità, ragazze e ragazzi molto in gamba che hanno voglia di fare.

La sua famiglia sta affrontando lo scontro interno legato all’eredità contesa da sua madre, Margherita Agnelli. Al di là degli aspetti giudiziari, il mercato si chiede se l’assetto di controllo di tutta la galassia Exor sia a rischio.

Con mio fratello e mia sorella abbiamo piena fiducia nella magistratura italiana. È una situazione che dura da vent’anni, da quando nel 2004, nel pieno della crisi di cui parlavamo prima, tutta la mia famiglia per senso di responsabilità si è compattata intorno alla Fiat, portando avanti le volontà di mio nonno. L’unica a chiamarsi fuori è stata mia madre. E invece di essere contenta, per la Fiat, per la sua famiglia, per la realizzazione del volere di suo padre, ha reagito nel modo peggiore.

Ingegnere, a livello personale lei come vive questa fase?

Con grande dolore, che ha radici lontane. Insieme ai miei fratelli Lapo e Ginevra fin da piccoli abbiamo subito violenze fisiche e psicologiche da parte di nostra madre. Ed è questo che ha creato un rapporto protettivo da parte dei nostri nonni.

Parliamo dei suoi figli: che rapporto ha? Troveranno anche loro degli stimoli per restare in Italia? È con questa generazione, in fondo, che il nostro Paese si gioca le sue ambizioni per il futuro.

Siamo una famiglia molto unita dagli affetti e da una passione condivisa, per la Ferrari e per la Juventus. Guardando ai miei figli, ai nipoti e ai loro amici vedo giovani con tanta voglia di imparare e questo mi dà fiducia nel futuro.

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