Google, Facebook o TikTok verranno obbligati a pagare milioni di tasse a meno che non firmino nuovi accordi con i media per pubblicare i loro contenuti di notizie sulle loro piattaforme digitali - Reuters
Dopo la legge di fine novembre che vieta i social media ai bambini e ai ragazzini sotto i 16 anni, le big tech finiscono ancora una volta nel mirino del governo australiano che vuole proteggere e remunerare l’indipendenza e il diritto di informazione. Nello dettaglio, i giganti della tecnologia come Google, Facebook o TikTok verranno obbligati a pagare milioni di tasse a meno che non firmino nuovi accordi con i media per pubblicare i loro contenuti di notizie sulle loro piattaforme digitali. La misura, che l’esecutivo di Canberra attuerà dal 1 gennaio 2025, riguarderà le piattaforme digitali con ricavi superiori a 250 milioni di dollari australiani (153 milioni di euro).
Il ministro dell’Economia, Stephen Jones ha spiegato che la misura «includerà un addebito (fiscale) per le piattaforme basato sul reddito di origine australiana». «La tariffa includerà un generoso compenso per gli accordi commerciali conclusi volontariamente tra piattaforme e società di media», ha aggiunto il ministro. Jones ha osservato che la misura rafforza la precedente legge sui media del 2021 che richiedeva alle testate giornalistiche di pagare per la pubblicazione dei loro contenuti di notizie in Australia attraverso accordi che vanno a scadenza quest’anno.
Viene da chiedersi se funzionerà il piano del governo australiano per incentivare le piattaforme tecnologiche a stringere accordi con gli editori di notizie. E se dovesse funzionare, potrebbe essere preso a modello anche in altri Paesi? Di fatto, l’esecutivo di Canberra ha rivelato una nuova merce di scambio nella scommessa per riportare le grandi aziende tecnologiche al tavolo con gli editori di notizie. Si tratta del News media bargaining incentive che è essenzialmente una nuova imposta emessa dall’Australian Tax Office alle piattaforme digitali. Le piattaforme che rinnovano o avviano accordi con gli editori di notizie per pagare i contenuti delle notizie saranno in grado di compensare quest’imposta, grazie a degli incentivi del governo. Le piattaforme che si rifiutano di sedersi al tavolo delle trattative dovranno comunque pagare, indipendentemente dal fatto che ospitino o meno contenuti di notizie sui loro siti.
Dopo il Codice del 2021 Meta Platforms e Alphabet erano stati spinti a stipulare specialmente con i grandi editori 34 accordi per un importo di oltre 200 milioni di dollari, a mo’ di compensazione per le mancate entrate pubblicitarie delle società di media che vedevano pubblicati e condivisi sulle piattaforme link a propri articoli, reportage, interviste, podcast e quant’altro, senza aver ricevuto alcun pagamento.
All’inizio di quest’anno, però, Meta ha annunciato che non avrebbe rinnovato nessuno dei 13 accordi che aveva stretto tre anni fa con le aziende di informazione australiane.
Quegli accordi valevano milioni di dollari, ora il governo federale si è trovato nuovamente ad affrontare il nodo del pagamento dei contenuti giornalistici pubblicati sui social media. Dopo l’annuncio delle nuove regole proposte dall’Australia, le big tech hanno replicato, sostenendo che «la maggior parte delle persone non accede alle piattaforme per contenuti di notizie e che gli editori di notizie scelgono volontariamente di pubblicare contenuti sulle nostre piattaforme perché ne traggono valore».
Va ricordato, inoltre, che un anno fa in Canada fu approvata una legge simile a quella australiana, l’Online News Act, a cui la società di Mark Zuckerberg reagì rimuovendo tutti i contenuti di notizie canadesi dalle sue piattaforme. Meta ha poi usato il caso della legge canadese come esempio globale per altri governi che stanno prendendo in considerazione una legislazione simile: ha mantenuto la minaccia di ritirare i contenuti delle notizie dalle sue piattaforme. Gli effetti sull’industria giornalistica canadese sono stati ampiamente avvertiti. La maggior parte degli editori di notizie canadesi ha segnalato un disastroso calo del traffico online, del coinvolgimento del pubblico e dei ricavi complessivi, riconducibile ai divieti sui contenuti di notizie su Facebook.
L’osservatorio sui media canadesi ha segnalato che, a un anno dal blocco delle notizie su Facebook e Instagram da parte di Meta per gli utenti canadesi, circa un terzo dei piccoli fornitori di notizie locali è ora inattivo online. E molti canadesi non stanno sostituendo le notizie che consumavano in precedenza su Facebook, cercando notizie altrove: in pratica, è emersa la crisi del giornalismo. Di fronte a conseguenze così estreme per l’informazione di interesse pubblico, il governo federale australiano ha scelto un approccio basato sugli incentivi alle imprese, funzionerà? È fondamentale che l’imposta annunciata si applichi alle piattaforme digitali indipendentemente dal fatto che ospitino o meno contenuti di notizie. Ciò significherebbe che le piattaforme digitali pagherebbero di più se non stipulassero accordi con gli editori di notizie o in alternativa, per evitare di pagare del tutto la tassa dovrebbero valutare la convenienza di spostare tutte le loro operazioni fuori dall’Australia.
A perdere, però, saranno gli editori più piccoli, mentre le big tech continueranno a scegliere con chi negoziare, quanti soldi investire e, in alcuni casi, anche quali contenuti vorrebbero ospitare sulle proprie piattaforme.