Mancava soltanto l’Italia nel puzzle cinese della conquista del mondo e l’accordo tra la nostra Cassa depositi e prestiti e la più grande
utility pubblica globale, la State Grid Corporation of China, sancisce il completamento di un percorso. «È avvenuto uno sdoganamento bilaterale – commenta Giuliano Noci, prorettore per la Cina del Politecnico di Milano, grande conoscitore del mondo cinese da tempi non sospetti – che potrà dare nuove opportunità alle nostre imprese. A una condizione, però...»
Quale?L’Italia deve essere in grado di cavalcare questa nuova fase politica, ma serve un salto di qualità nell’approccio strategico. La differenza tra Roma e Pechino è che la Cina da tempo ha pianificato tutto questo, mentre l’Italia non ha ancora costruito il suo
business plan, il suo piano industriale. L’ultima visita di Renzi è stata importante, ma da sola non basta. Si può e si deve fare di più, a partire da un centro studi a servizio del governo che sia in grado di progettare in modo definito la nostra presenza nel mercato più grande del mondo. Invece si continua a lavorare in modo frammentato.
L’accordo ormai in dirittura d’arrivo sull’energia, siglato alla presenza di Padoan, resta però il più grande mai siglato con l’Italia, peraltro in una sinergia inedita tra società pubbliche...Siamo senz’altro in presenza di un fatto simbolico, che dimostra come Pechino guardi con rinnovata attenzione all’Italia, ma non bisogna dimenticare come in precedenza il governo cinese abbia stretto
partnership un po’ ovunque, dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Grecia alla Spagna. Ora c’è bisogno che sia l’Italia ad aprirsi alla Cina, investendo in settori come la tecnologia ambientale, le
smart grid, l’immobiliare, la componentistica dell’
automotive.
Perché, oltre ai magnati privati, sull’industria si è mosso direttamente lo Stato?Il piano di Xi Jinping ha detto a chiare lettere che le aziende pubbliche devono diventare sempre più profittevoli, garantendo dividendi sicuri all’azionista di riferimento. Per fare questo, anche i soggetti statali devono riuscire a conquistarsi posizioni all’estero.
Quanto vale l’intesa con la China Development Bank?È un atto dovuto. Gli Stati europei ormai fanno a gara per dimostrare alla Cina che vogliono integrare le loro piattaforme, mentre l’interesse verso le nostre banche, che c’era prima della crisi, oggi è tutto da dimostrare.
Perché invece è mancato un afflusso di capitali indirizzato ai nostri titoli di Stato?I capitali disponibili sono stati destinati in tempi recentissimi sul
made in Italy, soprattutto quello piccolo e artigianale. Comprare Btp per un investitore asiatico, mettendo magari qualche decina di miliardi di euro, può essere utile al Tesoro italiano ma non è strategico per Pechino. Hanno già portafogli strapieni di titoli Usa, che fino a prova contraria pesano un po’ di più dei nostri...