Donne e lavoro, un binomio che in Italia resta pieno di contraddizioni. Nonostante la crescita dell'occupazione registrata nel 2022 a livello generale le donne sono rimaste nell'angolo, sempre più penalizzate e marginali. Poco più della metà ha un lavoro (il 51,4%), le inattive sono il 43%, il gap di genere del tasso di occupazione è rimasto fermo al 18%, un contratto su due per le giovani alla prima occupazione è part-time. E spunta anche la "discriminazione algoritmica" da parte delle piattaforme digitali.
È un quadro molto negativo quello che emerge dal Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) che ogni anno fotografa le differenze di genere nel mondo del lavoro.
Il tasso di occupazione in Italia ha toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, ma quando si entra nel dettaglio doi genere si evidenziano le profonde differenze. Gli uomini occupati sono il 69,5% e le donne solo il 51,4%, con un gap di genere del 18%. Il tasso di disoccupazione femminile è il 9,2%, quello maschile il 6,8%, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e del 27,7% per i ragazzi. Anche la sfera della non partecipazione vede penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3 %, ben 18 punti in più rispetto a quello degli uomini.
“Malgrado la crescita – ha dichiarato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp presentando oggi il report nel corso di un convegno - restano immutati i gap di genere nel mercato del lavoro e le criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici. Dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi. Rispetto al 2021 i tassi di occupazione crescono di più per gli uomini che per le donne (+1,7% contro +1,4%) e che la disoccupazione cala in misura maggiore per gli uomini (-1,2% contro -0,9%). L’inattività diminuisce per uomini e per donne, ma per quest’ultime cala solo quella legata a studio e formazione, mentre invece cresce quella legata a motivi familiari”. I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati il 49% delle assunzioni è a tempo parziale per le donne, per gli uomini il 26,2%. In particolare, è a part time oltre la metà (51,3%) dei contratti a tempo indeterminato delle donne. Mentre tipicamente femminile è la condizione di “debolezza rafforzata” ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se consideriamo solo il lavoro a tempo determinato, che occupa il 38% dei contratti delle donne e il 43% di quelli degli uomini, si nota che della prima quota il 64% è part time e della seconda lo è il 32%. Nel 2021 l’incidenza di donne occupate che lavorano in part time è superiore rispetto agli uomini di circa 15 punti percentuali in Europa e di più di 22 punti in Italia.
Il Gender Report inoltre fotografa una nuova forma di discriminazione, quella legata all’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme digitali. Anche nel mercato del lavoro digitale si riproducono esattamente gli atteggiamenti discriminatori che si riscontrano nei lavori tradizionali. “Le menti che programmano gli algoritmi non sono diverse da quelle che, normalmente, scelgono chi assumere, promuovere, remunerare di più, licenziare e così via – ha evidenziato Fadda – La discriminazione algoritmica può dunque ugualmente agire e, in maniera implicita, produrre condotte discriminatorie di genere nel lavoro. Risulta inderogabile la necessità di approfondire il legame tra società digitale e discriminazioni, nelle sue evidenti connotazioni di genere”.
Il report analizza, infine, anche le caratteristiche del lavoro domestico, un settore lavorativo in costante crescita, con 2 milioni di famiglie quali datori di lavoro e una crescente domanda, particolarmente volta a sostenere le esigenze di cura di persone anziane o malate (circa il 74% della domanda). I dati mostrano una netta prevalenza della componente femminile tra gli occupati, per il 60% straniera, con un’età media in progressivo aumento e a oggi compresa tra i 45 e i 59 anni. Il settore è caratterizzato da una ampia quota di lavoro sommerso: si stima che sette lavoratori su dieci (68,3%) non abbiano alcuna formalizzazione contrattuale e di conseguenza alcuna tutela. Si registra, inoltre, un 34,3% di "lavoro grigio", una forma di lavoro parzialmente regolare che presenta un contratto di lavoro formalizzato, ma con la dichiarazione di un numero di giornate inferiore a quante prestate effettivamente dal collaboratore. Irregolarità maggiori si registrano nel baby-sitting (51,8% dei casi) e nelle regioni del Sud Italia.