Stefano Mach, Fausto Artoni e Gherardo Spinola - IMPact Sgr
Gli investimenti a impatto restano una nicchia della finanza sostenibile. Dei 35.301 miliardi di investimenti censiti dall’ultimo report della Gsia, l’alleanza globale per la finanza sostenibile, soltanto 352 miliardi sono classificati come “investimenti a impatto o per la comunità”. È meno dell’1%. I dati sono ormai un po’ datati (il report si riferisce al 2020) e qualcosa negli ultimi anni è migliorato, ma è chiaro che l’impact investing è una delle forme più complicate di finanza sostenibile: si tratta di indirizzare gli investimenti su obiettivi positivi dal punto di vista sociale o ambientale e quindi richiede la misurazione e la rendicontazione degli impatti ottenuti grazie ai fondi investiti. Fare investimenti con criteri di selezione ESG, scartando obbligazioni e azioni di aziende che non rispettano determinati requisiti ambientali, sociali o di governance, è molto più semplice.
Anche gli investimenti a impatto però si stanno evolvendo. Un passaggio chiave per la loro crescita è l’introduzione di strumenti di investimento quotati, resa possibile dai regolamenti sulla finanza sostenibile approvati dall’Unione Europea tra il 2020 e il 2021. «Finché l’impact investing si muoveva su mercati non quotati le sue dimensioni non potevano che restare ridotte. Si parlava di progetti molto belli, come costruire condomini per garantire una casa a persone bisognose o realizzare ospedali per offrire servizi sanitari di valore in territori complicati, ma i volumi complessivi fuori da un mercato quotato restano comunque limitati» spiega Stefano Mach, che con un gruppo di colleghi della società di investimenti Azimut nel 2018 ha fondato IMPact Sgr, società di gestione del risparmio specializzata nella finanza a impatto.
«Quello che facciamo – spiega Mach – è misurare l’impatto di un investimento a partire dai prodotti invece che dalle aziende. Valutiamo l’impatto di ogni prodotto di un’azienda e quindi valutiamo quanto pesa quel prodotto sul totale dei ricavi. A quel punto diamo un rating di impatto». Succede che ci siano aziende che hanno valutazioni ESG molto elevate ma escono male da una valutazione basata sui criteri dell’impatto, ad esempio perché realizzano prodotti che fanno male alla salute. Difatti anche i database che IMPact usa per fare le sue valutazioni sono diversi da quelli utilizzati per le valutazioni Esg: i provider di dati elaborano milioni di studi scientifici su prodotti e settori per arrivare a un risultato.
«È un modo diverso di affrontare i problemi delle singole aziende. Siamo ancora in una fase embrionale di questo tipo di mercato, che a livello mondiale cuba circa mille miliardi di dollari di investimenti. C’è enorme spazio per crescere» aggiunge Mach, che è chief executive officer di IMPact (gli altri due co-fondatori, Fausto Artoni e Gherardo Spinola sono rispettivamente presidente e chief investment officer). IMPact ha in gestione 3,5 miliardi di euro e ha lanciato quattro fondi “articolo 9”, cioè in linea con i requisiti del regolamento europeo sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sfdr). «Siamo veramente all’inizio sulla componente dell’impact investing. Già si vede l’interesse di molti investitori istituzionali, ad esempio da parte dei fondi pensione e delle società assicurative – avverte Mach –. Noi crediamo che nel giro di cinque anni molti di questi soggetti avranno mandato per investire solo su prodotti articolo 9. In Nord Europa vediamo una crescita esplosiva già in questo momento». I piccoli risparmiatori potrebbero arrivare in scia agli istituzionali. «Quasi sempre il piccolo risparmiatore sceglie quello che spinge la sua banca, quindi la chiave sta nelle scelte del management della banca – conclude Mach –. Poi se si andrà verso una Mifid che includerà anche domande sulla volontà di impatto del singolo investitore allora ogni banca dovrà adeguare i prodotti proposti. È uno scenario che può aprire grandi opportunità di sviluppo».