Carlo Borzaga (a destra) e Mario Diani
A partire dall’inizio del secolo e con un’evidente accelerazione nell’ultimo decennio molti degli equilibri economici, sociali e politici che erano stati raggiunti alla fine del ’900 sono saltati. La crisi del 2008 prima e la pandemia poi hanno messo in luce i limiti di un sistema che faceva affidamento soprattutto sulle logiche del mercato popolato di imprese orientate solo al profitto in un contesto, quello della globalizzazione, particolarmente favorevole. Sono così aumentate le varie forme di disuguaglianza, a partire da quelle dei redditi, che hanno via via ridotto le dimensioni della classe media che garantiva la stabilità del sistema. L’aumento significativo della spesa pubblica prima per salvare le banche, poi per sostenere il sistema sanitario, le imprese e i lavoratori durante la pandemia e infine per rilanciare la domanda, ha determinato aumenti rilevanti del debito pubblico e – anche a seguito dell’effetto dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ha riportato su valori elevati il tasso di inflazione. E ha fermato l’adozione delle misure necessarie per ridurre il riscaldamento del pianeta e quindi evitare il disastro ecologico. La ricerca di soluzioni a questa situazione è ancora lontana da risultati convincenti. Sono molto pochi coloro che ritengono che essa sia da ricercarsi in un ritorno alla situazione precrisi, prevale piuttosto la convinzione che la globalizzazione finirà per subire un’inversione. Tutti, o quasi sono convinti che serva un maggior impegno pubblico in diversi settori, ma nella consapevolezza che da solo non sia in grado di affrontare la situazione.
Servono cambiamenti più strutturali, cioè basati su modifiche negli obiettivi e nei comportamenti degli agenti e negli incentivi che ne orientano l’azione. Due in particolare sono i cambiamenti su cui si sta concentrando l’attenzione: una diversa concezione dell’impresa che incida sui suoi comportamenti e l’attribuzione di un ruolo attivo alla società civile e alle sue organizzazioni. Aumentano già da qualche anno le dichiarazioni di grandi manager, ma soprattutto i lavori scientifici che mettono esplicitamente in discussione la tesi secondo cui la finalità dell’impresa e quindi il dovere dei manager sia quello di massimizzare il profitto. Tali tesi, invece, guardano all’impresa come a un’istituzione il cui scopo non è massimizzare ma neppure produrre utili, bensì soluzioni responsabili ai problemi degli uomini: un processo nel corso del quale si realizzano anche profitti, ma senza che questo debba essere il fine dell’attività. Il diffondersi di questa concezione molto più realistica ha innanzitutto contribuito a ricordare che l’impresa deve tenere conto non solo degli interessi dei proprietari ma di tutti coloro che hanno un qualche coinvolgimento nell’attività. In secondo luogo essa ha attirato l’attenzione sulle forme di impresa che perseguono non l’interesse degli investitori ma quello di altri portatori di interesse: in primis, le cooperative e le mutue, orientate alla soddisfazione di lavoratori e utenti; oppure le cooperative e le imprese sociali, che destinano parte del valore prodotto a utenti in condizione di bisogno.
Della rinnovata attenzione a queste imprese, sono prova il recente Action Plan sull’Economia Sociale e le conclusioni della recente Assemblea annuale dell’International Labour Organization-ILO. Le ricerche sulle nuove forme di impresa e più in generale delle organizzazioni a finalità sociale hanno mostrato che esse spesso nascono dal basso, cioè da gruppi di cittadini che spontaneamente si aggregano per dar vita ad attività di interesse delle comunità in cui vivono, riuscendo a dotarsi delle risorse umane e finanziarie in grado di dare loro stabilità. Organizzazioni aperte alla collaborazione con le istituzioni pubbliche locali, ma non in un rapporto di comando bensì su basi di co-programmazione e di amministrazione condivisa. Organizzazioni e modalità di collaborazione regolamentate in Italia dal nuovo Codice del Terzo Settore e riconosciute dalla Corte Costituzionale. Si tratta però di cambiamenti che hanno bisogno di essere meglio compresi sia dal punto di vista teorico nelle loro specificità e condizioni di sostenibilità, che sul piano empirico per valutarne la diffusione e l’evoluzione. Siamo di fronte a un universo variegato e mobile il cui sviluppo può portare a un miglioramento effettivo della vita economica e sociale, ma a condizione che si riesca a sviluppare giuste chiavi di lettura e politiche di sostegno e modalità di gestione coerenti.
Che è esattamente quello che ha fatto in questi anni l’European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises -Euricse sotto la presidenza di Carlo Borzaga e che continuerà a fare con il nuovo presidente Mario Diani. Un istituto finalizzato alla conoscenza dell’economia sociale attraverso la quantificazione e l’analisi delle imprese cooperative, sociali e più in generale delle iniziative della società civile, sia in autonomia che in collaborazione con le principali organizzazioni internazionali.
*ex presidente Euricse ** presidente Euricse
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