IMAGOECONOMICA
Il 13% dei lavoratori nei Paesi europei membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e negli Stati Uniti ha dichiarato di patire disagi significativi collegati al caldo per almeno metà del proprio orario lavorativo.
È quanto emerge da un policy brief dell’Ocse, dal titolo “Feeling the Heat: Working under increasing temperatures” che in italiano si può tradurre in “Percepire il caldo: lavorare a temperature crescenti”.
I Paesi più colpiti sono Turchia (26%), Spagna (25%) e Grecia (22%), mentre le categorie di lavoratori maggiormente interessate comprendono, ovviamente, chi lavora all’aperto, in strada o ambito agricolo, ma anche gli addetti dell’industria pesante.
Nonostante le politiche messe in atto per contenere le emissioni globali di gas serra, l’impatto del cambiamento climatico e i danni economici derivanti da eventi meteorologici inattesi sono in aumento. Ma a fianco di questa emergenza altamente visibile, ce n’è un’altra meno visibile ma ugualmente grave: l’aumento delle temperature avrà infatti effetti significativi sulla salute umana, sulla produttività dei lavoratori e, di conseguenza, sul rendimento delle imprese. Si prevede che le ondate di calore diventeranno più frequenti, persistenti e intense in quasi tutti i Paesi abitati, con ricadute dirette sul mercato del lavoro.
Gli eventi meteorologici estremi e l'aumento delle temperature avrà effetti meno visibili ma considerevoli sulla salute umana, sulla produttività dei lavoratori e delle aziende
Il documento dell’Ocse evidenzia come l’esposizione al calore sia un rischio già riconosciuto e documentato per la salute e la sicurezza dei lavoratori: può infatti causare affaticamento, riduzione della concentrazione, minore capacità di elaborazione delle informazioni, tempi di reazione più lunghi, visione offuscata, irritabilità e cambiamenti d’umore. Il calore può interferire con l’esecuzione sia di compiti fisici e complessi, sia di attività più semplici e di routine che però richiedono un’attenzione particolare. È stato dimostrato, infatti, che lo stress da calore riduce la produttività, aumenta l’assenteismo e accresce il rischio di infortuni sul lavoro, anche mortali, oltre a compromettere il funzionamento di macchinari e infrastrutture.
Un recente studio ha inoltre stimato che le alte temperature hanno portato a 490 miliardi di ore di lavoro perse nel 2022 nel mondo, con un aumento quasi del 42% dal 1991 al 2000.
Molti lavoratori subiranno gli effetti dell’aumento delle temperature e di ondate di calore più frequenti e intense. Tuttavia, l’entità della loro esposizione e vulnerabilità varierà a seconda della situazione professionale e del loro luogo di lavoro.
Chi lavora all’interno di industrie pesanti, ma anche i lavoratori meno qualificati che svolgono attività all’aperto – tra cui i venditori ambulanti, i lavoratori edili, gli agricoltori e i pescatori – sono ritenuti i più esposti al caldo e al freddo.
Condizioni simili riguardano anche i professionisti impiegati nei servizi di emergenza, i medici e gli operatori sanitari. Nello specifico, queste figure sono esposte a un duplice onere: da un lato l’aumento delle temperature li condizionerà nel loro lavoro, in prima persona, mentre indossano, ad esempio, dispositivi di protezione individuale pesanti e poco adatti a sopportare il caldo, dall’altro l’incremento di eventi meteorologici estremi e incendi più frequenti li costringerà a lavorare sempre di più e a ritmi sempre più intensi, dovendo prendersi cura e gestire il maggiore afflusso di pazienti durante le ondate di calore.
Dal punto di vista geografico, le aree in cui i lavoratori segnalano già disagi legati al caldo, in particolare le regioni meridionali dell’Europa, sono anche quelle dove si prevede sperimenteranno uno stress da calore ancora più elevato nel futuro, se non si adotteranno ulteriori azioni di mitigazione o adattamento. Per quanto riguarda l’Italia, l’Ocse segnala la Sicilia e la Puglia tra le regioni del Sud, in cui una parte significativa dei lavoratori già oggi sperimenta disagi legati al calore e dove si prevede che lo stress termico aumenterà ulteriormente entro il 2050.
A livello di Unione europea, al momento, non esiste un regolamento comune che definisca la temperatura massima consentita sul luogo di lavoro. Ma per fronteggiare i cambiamenti climatici e il conseguente innalzamento delle temperature, gli Stati membri dell’Ocse singolarmente stanno lavorando a una serie di misure per ridurre i rischi sul lavoro. Tra gli strumenti adottati ci sono forum che coinvolgono le parti interessate e promuovono il dialogo sociale, politiche specifiche per la salute e la sicurezza sul lavoro e lo sviluppo di strumenti necessari a sostenere i lavoratori durante le ondate di calore.