Ci sono i numeri. E c’è il sentiment. E in certi momenti, come quello difficile che stiamo vivendo, il percepito può contare più del reale. L’aspettativa del futuro più dei risultati del passato appena trascorso. Così, di fronte all’ennesimo anno in calo, con un meno 3,2% di fatturato (a 27,5 miliardi) nel 2013, il sistema del legnoarredo e i 1.700 espositori che s’incontrano fino a domenica alla Fiera di Rho, a Milano, per il Salone internazionale del mobile e le biennali dedicate alla cucina e al bagno, sono effervescenti. Ed è questo che conta. Qui si sente la prima spinta per quello che il presidente di Cosmit, Claudio Luti, all’apertura della kermesse, ha richiamato come il «nuovo Rinascimento ». In fiera ci sono operatori da 160 Paesi. Da tutti i mercati. Rappresentanti di un mondo che ama la manifattura e il design italiani: con un calo interno (-6%), frenato in extremis da Bonus Mobili ed Ecobonus, le esportazioni crescono del 2,4%, a 12,7 miliardi.
«Il Salone è ormai l’evento mondiale più importante per il design e l’arredamento – ha detto Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo –. Per le aziende è il barometro del mercato e indica il lavoro dei 12 mesi seguenti, anche se siamo ben consapevoli che la crisi continua ad attanagliare il nostro lavoro». A tirare la volata del nuovo corso ci sono i grandi nomi del design italiano, da Kartell a Flou, da Calligaris a Cattelan. I marchi della moda (Fendi, Versace, Armani, Missoni...) che investono sull’home. Ma anche nomi meno noti, i medi, i piccoli e persino gli artigiani più esclusivi, che rivelano l’autenticità di questo evento e la percezione che qualcosa sta cambiando. Come Clei, azienda brianzola, che da oltre mezzo secolo progetta, produce e commercializza nel mondo programmi di arredo trasformabili, capaci di moltiplicare il valore dello spazio. L’esempio più innovativo è la cucina in verticale Ecooking: tutti gli elementi sono mobili e ruotano intorno a un perno centrale che costituisce anche il tubo di scarico per la lavastoviglie e il lavello. Tutto in meno di un metro quadrato. «Clei è in costante crescita negli ultimi 5 anni – dice il sales manager, Luca Colombo – sia sul mercato nazionale sia su quello internazionale. I nostri prodotti originali rispondono alle attuali esigenze di una società in continua evoluzione che fa i conti con spazi ridotti e mutevoli. L’innovazione – aggiunge – rappresenta una regola e un dovere che ci ha portato a ideare prodotti poi brevettati e proposti al mercato, anticipando i bisogni». Nel Nordest, a Vittorio Veneto, c’è Varaschin, un’azienda che nel 2005 ha saputo reinventarsi. «Nasciamo nel 1969 come intrecciatori di midollino e rattan per arredamenti esterni – ricorda la titolare, Giancarla Antoniazzi –. Un intreccio formato da canne provenienti da luoghi esotici. Poi è arrivata la svolta, c’era più difficoltà a reperire quelle canne ed è cambiato tutto. Abbiamo riconvertito l’azienda, ripartendo dall’esperienza di tanti anni. Riuscendo a resistere anche all’ultimo periodo di crisi, pensando prodotti che richiamassero la modernità, ma dessero la sensazione del recupero. Abbiamo trasformato progressivamente l’intreccio in una geometria di intersezioni, facendone un tratto stilistico tipico di creazioni moderne. All’arredamento outdoor si è aggiunto l’indoor e il contract, con un gruppo di designer di fama internazionale. Così – continua – l’anno scorso siamo cresciuti del 30%. Certo, prima fatturavamo il 70% in Italia ora il 40%. Il 60% arriva da 70 Paesi». C’è chi interpeta le nuove sfide con un nuovo marchio. È quello che avviene in Cantiero, storico mobiliere di Verona, che da un anno ha lanciato Dale Italia. «Abbiamo ideato una linea più giovane – racconta Alessandro Cantiero, 29 anni, con laurea in economia, figlio di Remo, titolare dell’azienda madre – per confrontarci con altre realtà: linee essenziali, materiali importanti e un design assolutamente moderno. Il classico piace molto in alcune aree del mondo, come la Russia, mentre con questo stile più diretto, mantenendo qualità e ricercatezza dei materiali, riusciamo a raggiungere Germania, Austria e altri mercati». La stessa voglia di cambiamento e di ricambio 'generazionale', arriva in una punta di eccellenza artigiana, come nell’Officina del noto scultore e designer bresciano, Giuseppe Rivadossi. Da un paio d’anni, con la spinta del figlio, Clemente, è nato il marchio Habito (l’alba, la terra, la mia casa), con cui veicolare i pezzi unici e artigianali di Rivadossi. «Così ci siamo affacciati su mercati lontani – dice Clemete Rivadossi –. Abbiamo aperto uno showroom a Shanghai in Cina e uno a Ho Chi Minh in Vietnam, oltre ad avere avviato collaborazioni con molti architetti nel mondo. Puntiamo sempre sul 'personaggio' Giuseppe Rivadossi e le sue creazioni, ma con uno spirito nuovo, più di azienda, più cosmopolita». Il made in Italy che parla al mondo. In tutte le forme. Non resta che l’ultimo passo: ripartire da noi. Da quel pezzo d’Italia che non riesce più a spendere. L’Italia degli italiani. Non più immobile.