Fino ad allora, dopo avere pasticciato un po’ annunciando frenate imminenti e poi ritirando tutto, la Banca centrale americana procederà ad alta velocità: il Federal Open Marketing Committee, cioè direttivo della Fed, ieri ha annunciato la decisione di confermare i tassi (tra lo 0 e lo 0,25%) e anche il quarto piano di espansione quantitativa che, combinato al terzo, da gennaio impegna la Fed a comprare, ogni mese, bond del Tesoro e titoli legati ai mutui per un ammontare complessivo di 85 miliardi di dollari. Per frenare su questi acquisti, ha scritto il Fomc, servono «ulteriori prove» della forza della ripresa americana. Quindi il colossale riversamento di denaro sul sistema finanziario mondiale prosegue.
Agli 85 miliardi mensili degli Usa vanno aggiunti i miliardi di yen che sta stampando la spericolata Banca del Giappone. Tutti soldi che gli investitori puntano sugli asset che ci sono a disposizione. Soprattutto le comode azioni ,semplici da comprare e vendere. Gli acquisti stanno alimentando la corsa degli indici delle Borse mondiali. A Wall Street gli indici Nasdaq e Dow Jones continuano a segnare nuovi record, lo stesso sta facendo il Dax Francoforte. Il FtseMib di Milano è lontano dai massimi degli anni pre-crisi ma ha comunque guadagnato il 14% rispetto all’inizio dell’anno (ed è su del 25% da luglio). Anche i tassi relativamente contenuti dei nostri Btp (oggi il titolo decennale paga il 4,2%, un anno fa era al 5%) stanno beneficiando degli acquisti dovuti ai tanti soldi in circolazione.
Ma non è una festa per tutti. Non per le aziende europee che vivono di esportazioni, per esempio. Con una Banca centrale europea più prudente delle colleghe di Tokyo e Washington, l’euro si va rafforzando mese dopo mese: in un anno ha guadagnato il 6,3% sul dollaro (ora vale 1,38 dollari) e il 31% sullo yen (il cambio è a 135). Una crescita che rende i listini della zona euro sempre più cari per le imprese del resto del mondo. Secondo i calcoli dell’Ufficio studi di Intesa Sanpaolo il supereuro costa all’Italia lo 0,4% del Pil. Tantissimo, per un’economia che, nei momenti buoni, è ormai abituata a espandersi a colpi di 'zero virgola'.