Le idee più potenti sono i metodi, pensava Friedrich Nietzsche. E il 'metodo-Marchionne' si è rivelato così potente da consentirgli di rivoltare come un calzino l’industria dell’auto italiana. Prima recuperando dal baratro quel che ne restava, e cioè la Fiat d’inizio millennio, quella decotta dell’'anno zero'; poi guidando il nuovo gruppo Fca a competere sul mercato globale. «Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere», si legge sulla prima di copertina di 'Marchionne Lo Straniero', il saggio di Paolo Bricco, inviato speciale del Sole 24 Ore, appena pubblicato da Rizzoli, frutto di oltre tre anni di lavoro fra gli States e lo Stivale, nei luoghi chiave dell’automotive e in particolare in quelli rivoluzionati dal 'manager' italo-canadese. Già, il manager. Marchionne, prima di approdare al Lingotto, non era un uomo d’industria 'pesante'. E nemmeno un abile 'finanziere', come da alcuni osservatori è stato raccontato. Era molte cose accomunate dalla finezza di pensiero e dall’inesauribile capacità di lavoro: avvocato e commercialista, revisore e consulente. Ed era un manager poco noto al grande pubblico, ma già dalle idee innovative e folgoranti. Come ha rivelato l’amico della maturità e per certi versi mentore, Franzo Grande Stevens, «Umberto (Agnelli, ndr) aveva valutato Marchionne dai risultati eccezionali che aveva raggiunto lavorando per la Sgs, Société Générale de Surveillance, società di assicurazioni ginevrina. Umberto ci disse che quest’uomo aveva avuto un’idea geniale: quella di incaricare un suo uomo in ogni scalo marittimo o aereo del mondo. Questo incaricato doveva garantire all’acquirente i beni di qualsiasi genere e che essi corrispondessero alla qualità dichiarata dal venditore. In questo modo i tempi dell’accertamento e le qualità promesse dalla società di assicurazioni erano praticamente annullati». Alla fine Marchionne si è confermato soprattutto un 'supermanager', un genio del metodo, capace di innovare i processi, partendo da quelli aziendali per arrivare a quelli negoziali – sui fronti industriale, finanziario, sindacale e politico – e di comunicazione in un epoca di profondo cambiamento, il contesto nella biografia firmata da Bricco, fra la Silicon Valley e Torino passando per il Midwest.
Una tra le tante chiavi di lettura per assaporare il Marchionne dell’inviato del Sole, profondo conoscitore della storia dell’industria italiana e dei più grandi innovatori della stessa, a partire da Adriano Olivetti, è proprio quella di ripercorrere la trasmutazione metodologica – attraverso documenti e testimonianze vagliati dall’occhio del giornalista e fellow del Cami ( Center for Automotive and Mobility Innovatione) che ha consentito all’amministratore delegato da poco scomparso di forgiare il Gruppo Fca. Con la durezza, talvolta, dello 'straniero', tanto in Italia quanto negli Usa, che proprio grazie alla giusta distanza non si fa imbrigliare nei giochi politici domestici: «Prima di tutto – scrive Bricco, raccontando dello sbarco di Marchionne a Torino –, nulla c’entra e nulla sa della città in cui arriva. Non sa nulla del Partito comunista. Non sa nulle dei pranzi in collina di Giulio Einaudi con i suoi collaboratori. Non è cresciuto in un Paese dominato dall’immagine quasi ieratica dell’Avvocato…Sergio Marchionne non ha mai avuto in bocca il sapore ferroso di chi ha paura perché si trova in mezzo agli scontri politici e sindacali degli anni Settanta». Anche per questo è libero di vedere e di dire che Fiat è tecnicamente fallita. Per poi salvarla. Lo stesso accadde cinque anni dopo, negli States, dove l’ex Ad Fiat iniziò a volare sempre più spesso per trattare l’acquisizione di Chrysler: «Rispetto al formalismo e al politicamente corretto degli eredi dei car guys di un tempo trasformati in algidi dirigenti con master della Ivy League – osserva l’autore –, il profilo di Marchionne da immigrato che lavora così tanto da non trovare il tempo di andare dal dentista sembra provocare identificazione ed empatia». Nei metalmeccanici dello Uaw, certo, ma anche nelle persone comuni o in un presidente atipico quale era Barack Obama. Ripercorrendo la vita privata e professionale di Marchionne, la sua ascesa vertiginosa, le sue innovative ricette economiche, ma anche le critiche e gli aspri scontri con i lavoratori della Fiat, Bricco riesce a darne un ritratto completo e robusto anche in chiave psicologica, raccontando con uno stile da New journalism come il carattere abbia determinato il metodo e dal metodo ne sia stato determinato: «La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo». In 'Marchionne Lo Straniero' si riesce così anche ad accarezzare la solitudine dei numeri uno. In una biografia che si rivela contemporaneamente, grazie alla vasta conoscenza dell’autore in materia, un prezioso saggio di cultura e storia d’impresa.
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