«Non proponiamo di cancellare il debito, ma di ristrutturarlo per far fronte agli investimenti necessari per la ripresa e il cambio climatico». José Moises Martín Carretero è uno dei venti economisti spagnoli fra il centinaio di europei ad aver sottoscritto il manifesto perché la Bce annulli o trasformi i titoli di debito degli stati in difficoltà per la crisi provocata dal coronavirus.
Professor Carretero, lei è consulente del ministero di Affari economici e membro del gruppo 'Economistas frente a las crisis', cui aderiscono molti dei firmatari dell’appello, come la presidente del Psoe, Cristina Narbona o il responsabile di economia di Podemos, Nacho Alvarez?
Sì, è un gruppo fondato nel 2011, nella precedente crisi finanziaria, quando fu chiaro che le politiche di austerity non solo non l’avrebbero risolta, ma aggravata. Da allora abbiamo sviluppato proposte economiche autonome per la ripresa. Ma tutti abbiamo firmato il manifesto a titolo individuale, non in nome di partiti e meno che mai del governo.
Il debito della Spagna a quanto ammonta?
È passato dal 40% del Pil nel 2008 al 115/% attuale, e la Commissione prevede che arriverà al 130% a fine decennio. In 15 anni è più che raddoppiato. L’incremento provocato dalla crisi finanziaria non è stato coperto, perché non c’è stata una politica fiscale sufficiente a ridurlo.
Che significa?
Che il problema si complica ancora di più se teniamo conto della necessità di investire nella lotta al cambio climatico: per evitare gli effetti più deleteri, per la sola Europa, 5 miliardi di euro nel decennio, equivalenti a un piano Next Generation l’anno fino al 2050. Secondo i nostri calcoli, 800 milioni l’anno fino al 2030, e siamo molto lontani da queste cifre.
In cosa consiste la vostra proposta?
Non include il condono del debito, bensì la ristrutturazione. Il debito resta, ma restituito in tempi e modalità diversi. Non significa che la Bce debba cancellarlo dal proprio bilancio, ma permettere ai Paesi di rinviare la restituzione, per far fronte agli investimenti per la ripresa e la lotta al cambio climatico.
Non significa saltarsi i Trattati?
I trattati si possono cambiare, ma questo richiede tempo. Meglio interpretarli, con soluzioni come il ricorso all’uso dei bonds perpetui per finanziare il bilancio comunitario, previsto nella proposta presentata per la Spagna dall’economista Luis Garicano, o l’emissione di titoli perpetui acquistati dalla Bce, ipotizzata da Paul de Grauwe. Oppure l’opzione segnalata nel manifesto, con l’uso di bonds perpetui per non de-capitalizzare la Bce. Si tratta di emetterne nuovi o cambiare quelli a 10 anni con altri con rendimenti a tempo indefinito, per i quali si paga un interesse permanente, ma senza restituire il capitale principale.
La presidentessa della Bce Lagarde ha già risposto che la cancellazione del debito è «inconcepibile »…
Ha detto che il condono è illegale, non la ristrutturazione. Difatti la politica di quantitative easing che sta realizzando è un’interpretazione favorevole agli Stati europei. Anche la mutualizzazione del debito, non prevista dai trattati e alla quale era contraria Angela Merkel, alla fine si è fatta. Spesso l’impossibile diventa possibile perché la realtà si impone.
Intende che la Ue è in ritardo sulla realtà?
Se la Bce avesse cominciato a compare debito nel 2010 invece che nel 2015 ci saremmo risparmiati molta sofferenza. Il problema della Ue è che prende le decisioni solo quando non ha più scelta. Il Recovery Fund non è pensato per la ripresa, perché non sta finanziando le spese per disoccupazione, sanitarie, o per la riattivazione di imprese, ma la digitalizzazione per l’aumento di competitività, che è necessaria, ma non è pensata per il recupero. Il rischio è che quando saranno avviati i progetti del Recovery sia troppo tardi, perché abbiamo bisogno dei finanziamenti ora, non fra 8 mesi o 1 anno.
Non teme un pericolo di iperinflazione nella Ue?
Nessuno dice che la Bce smetta di controllare gli obiettivi dei prezzi. Le prospettive nell’eurozona a medio termine sono di inflazione molto bassa, i molto al di sotto dell’obiettivo fissato del 2% a 5 anni. C’è un ampio margine per politiche più aggressive. Il rischio è piuttosto una lunga stagnazione.
A Mario Draghi, ora premier in Italia, si deve il quantitative easing. Crede che il suo appoggio a favore della ristrutturazione del debito possa essere decisivo?
Non credo che Draghi abbandoni l’ortodossia. È appena arrivato al governo e non credo che si schieri a favore.
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