Quella di oggi sarà un’assemblea storica per il Creval. Perché all’assise che vedrà radunarsi i soci del Credito Valtellinese a Morbegno, in provincia di Sondrio, è in programma un passaggio epocale. Dopo 108 anni di vita cooperativa, infatti, l’istituto di credito si appresta a trasformarsi da banca popolare a Spa. «Al netto di qualche sistemazione lessicale, il nostro scopo resterà lo stesso di sempre – spiega il presidente del Creval Miro Fiordi –. Il punto di riferimento rimane l’articolo 2 dello statuto e continueremo a sostenere le famiglie e le Pmi sia dal lato del risparmio sia da quello del credito. La scommessa, dunque, è duplice: farci trovare pronti a questo cambiamento, aprendoci al mercato e alla presenza di investitori istituzionali anche con posti nel Cda, ma dentro una visione che preveda un contributo costante alla crescita economica e sociale del Paese e salvaguardando la centralità dell’uomo nel nostro modo di fare banca».
Presidente, avete scelto di non applicare il tetto del 5% al possesso azionario. Perché? Creval ha una natura di
public company. Abbiamo 120mila azionisti e una parte del capitale detenuta da fondi di investimento. In virtù di questa composizione abbiamo preso tale decisione, nella convinzione che possa favorirci nel vincere la doppia sfida della redditività e della sostenibilità.
Quali sono i rischi di questa mutazione? È chiaro che abbandonare il voto capitario (una testa, un voto) per passare alla forma di società per azioni presenta alcune difficoltà. C’è il rischio che alcuni progetti possano non avere appeal sul mercato. Ma starà a noi farci trovare preparati e trasformare queste incognite in vantaggi da sfruttare.
Su cosa si fonda, invece, il suo ottimismo di fronte a questa nuova avventura? Sul fatto che abbiamo progetti chiari. Dal- le soluzioni per gli Npl (le sofferenze,
ndr) alla sfida digitale, su cui abbiamo investito con forza recentemente lanciando una piattaforma molto gradita alla nostra clientela. Abbiamo tutti gli elementi e le caratteristiche adeguate per giocarci questa partita nel migliore dei modi.
Sono sempre più insistenti le voci che vi vedono prossimi a una fusione. I rumors delle ultime settimane prevedono possibili aggregazioni con Banca Popolare di Sondrio e con Banca Popolare per l’Emilia Romagna. A che punto sono le trattative? È un momento in cui bisogna prestare attenzione e valutare tutte le possibili opportunità di aggregazione. Come primo passaggio, credo che sarebbe utile aprire un tavolo con la Popolare di Sondrio e provare a vedere se ci sono le condizioni per pensare a una strada comune. Se non si dovesse procedere in questa direzione, ovviamente faremo altre valutazioni. Tutti parlano di noi, Sondrio e Bper perché abbiamo caratteristiche comuni: tre banche quotate, popolari in trasformazione e di medie dimensioni. Per il momento, tuttavia, non c’è nulla di concreto.
Dopo il matrimonio tra Bpm e Banco Popolare, però, sembra essere il momento buono per aprire la stagione delle nozze bancarie... Certamente è un ottimo momento. E bisogna dar atto a Bpm e Banco di aver chiuso una splendida operazione, aprendo una strada nuova che può essere seguita presto da altri soggetti. È scontato che il mercato si aspetti sviluppi in questa direzione. Credo che dal punto di vista generale, il 2017 sarà un anno chiave per le aggregazioni bancarie. Anche perché sono situazioni da chiudere in tempi ragionevolmente brevi, che non si possono trascinare per troppi trimestri.
Nei giorni scorsi lei non ha escluso un’aggregazione con un partner estero. È un opzione davvero realizzabile? In un mercato globale, con una vigilanza unica e una moneta unica europea, sulla carta è una possibilità che non si può escludere. Certo, alla luce di alcune differenze fiscali e normative tra un Paese e l’altro, è uno scenario praticabile più sul piano teorico che pratico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA IL BANCHIERE. Miro Fiordi