mercoledì 22 ottobre 2008
"Italia conoscerà una fase di contrazione del ciclo economico più lunga del previsto. A registrarlo è il Fondo monetario internazionale. Il numero uno della Banca d’Italia: le difficoltà finanziarie si sono trasferite all’economia reale, problemi per i nuclei e le imprese"
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La nota positiva è che l'Italia «tutto sommato non esce male da questa crisi». Almeno l'Italia "finanziaria", perché «da noi " assicura Mario Draghi in Senato " non c'è un sistema bancario ombra», come quello (dal governatore già denunciato nelle "Considerazioni finali" del 31 maggio scorso) proliferato all'ombra di eccessive pratiche scorrette e di una caccia senza freni agli utili. Banche a parte, però, per l'Italia l'allarme recessione c'è. Il governatore della Banca d'Italia, ascoltato dalla commissione Finanze, non cita il termine, ma le sue parole non lasciano dubbi: «Dopo il calo (-0,3%) del prodotto interno nel secondo trimestre " dice " i più recenti indicatori confermano segnali negativi per i prossimi trimestri». E, in un altro passaggio: «Le ripercussioni della crisi vanno ben al di là del sistema bancario, famiglie e imprese sono colpite». Parole che arrivano poco dopo l'ultimo "bollettino medico" del Fmi, secondo il quale l'Italia chiuderà anche il prossimo 2009 in flessione dello 0,2%, con un deficit al 2,9% del Pil; e per il futuro l'Italia deve «procedere più velocemente con le liberalizzazioni» piuttosto che pensare ad aiuti di Stato. Ma l'emergenza incalza. Draghi ripete, come Berlusconi, che «nessun depositante perderà nulla». Una garanzia accompagnata però da un chiaro messaggio a quegli intermediari, come banche, fondi e finanziarie, che hanno collocato obbligazioni Lehman, la banca Usa poi fallita: «Non devono lasciare soli» i risparmiatori, devono «compiere tutte le azioni necessarie a tutelarne i diritti». Per fortuna che un sollievo per i cittadini viene dal tasso Euribor, il riferimento per le rate dei mutui sceso ieri sotto il 5%, al 4,97%, proprio come auspicato una settimana fa da Draghi che tuttavia lo definisce «una tranquillità che dura da poco», non solo nel senso che è appena scattato, ma anche che non si può dare per acquisito in pianta stabile. Draghi fondamentalmente si autoassolve e ricorda il «merito» pure «del legislatore» e «degli operatori», davanti alla tempesta finanziaria che sembra solo lambire l'Italia. Precisa che la capitalizzazione delle più grandi banche nazionali «rimane sufficiente», che il nostro sistema ha «condiviso solo in minima parte errori e distorsioni» di un mercato, quello mondiale del credito, che aveva raggiunto «livelli di indebitamento e di esposizione al rischio insieme eccessivi e sottovalutati». Il che chiama in causa la sorveglianza: è stata «chiaramente inadeguata in alcuni paesi». La ricetta proposta dal governatore, libero in Senato dall'"ombra" del ministro Tremonti, è quella del Financial Stability Forum da lui stesso presieduto: «Più capitale, meno debito e più regole». Le banche devono rafforzarsi (altro richiamo già fatto da Draghi nei mesi scorsi). Ma oggi «è cruciale mantenere il livello del credito, in particolare alle piccole e medie imprese». Il problema «più urgente è il riavvio del mercato interbancario»: dopo la crisi le banche, abituate a farsi prestiti fra di loro, non si fidano più l'una dell'altra, paralizzando così gli scambi. E condizionando «il clima di fiducia» che invece va «ripristinato nel breve termine». Draghi rigetta l'ipotesi di essere condizionato da quelle banche (Unicredit e Intesa) che hanno il 67% del capitale di Bankitalia. E gli atti d'emergenza varati dal governo? Vanno bene, ma ora servono azioni più incisive. «È maturo un ripensamento profondo dell'apparato istituzionale internazionale», annota Draghi con una frase che farà felice Tremonti. Per il governatore «è stata efficace la lezione di coordinamento» che l'Europa ha vissuto negli ultimi giorni, ma precisa che, prima ancora di pensare a una Vigilanza europea, occorre «uniformare le leggi» (e cita quella fallimentare). Affondi specifici sono dedicati poi ai prodotti derivati e alle agenzie di rating, che hanno «gravi conflitti d'interesse». Ancor più netto è il presidente di commissione, Mario Baldassarri: «Vanno ripensate, è come avere il maestro che dà i voti, ma pagato dal padre dell'alunno». L'ultimo spunto per governo e Parlamento viene da Parigi: la recessione, avvisa l'Ocse, rischia di cogliere un'Italia «più vulnerabile» anche sotto il profilo delle diseguaglianze, che stanno crescendo fra ricchi e poveri e ci vedono oggi al 6° posto.
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