Parola d’ordine: condividere. Piace, fa tendenza, non impegna. Specie se si parla di mobilità. Un boom, stando ai numeri. Ma anche un flop, se si ha la pazienza di guardare altre cifre. Tra bike sharing, car sharing e car pooling, la mobilità condivisa è sempre più utilizzata in Italia e il fenomeno è in continua crescita anche grazie alle app che ne facilitano l’utilizzo. Restando alle quattro ruote, sono infatti già 700.000 gli utenti dell’auto condivisa, con Milano (370 mila iscritti) e Roma (220 mila) in testa che da sole assorbono il 60% delle vetture a disposizione. E il bike sharing (con 13.770 bici condivise e 200 Comuni in cui è attivo) è il primo in Europa per diffusione.
È quanto emerge dal Primo Rapporto Nazionale dell’Osservatorio sulla Sharing Mobility che ha stimato in Italia nel 2015 circa 6,5 milioni di noleggi complessivi, a fronte di 5.764 veicoli censiti a luglio scorso. Fin qui tutto bene. Gli utenti del car sharing in particolare si dicono generalmente soddisfatti, le tariffe di “affitto” (mediamente 25 centesimi al minuto) sono considerate abbordabili, e tra i giovani soprattutto il servizio ha riscosso sino ad oggi un notevole successo. In più il rapporto sottolinea teorici benefici sociali generati dalla diminuzione dell’uso dei mezzi privati, poiché «i fruitori dello sharing mobility per il 47% hanno ridotto l’uso della propria auto, l’11,4% ha rinunciato all’unica automobile in famiglia e il 25% alla seconda auto». Una vera rivoluzione insomma ma, stando ai dati di bilancio, in Italia è ancora una scommessa.
E nemmeno delle più facili. L’interesse mostrato dal mercato ha comportato l’arrivo di cinque operatori nel giro di soli tre anni: Car2Go, Eni Enjoy, Twist, Share’N Go e DriveNow, tutti con grandi aziende alle spalle. Car2Go con la sua flotta di 800 Smart a Milano (750 fortwo e 50 forfour), 600 a Roma, 450 a Torino e 220 a Firenze è stato il primo in Italia e resta il leader mondiale del car sharing a flusso libero, ma la società che fa capo alla tedesca Daimler continua a presentare bilanci in rosso.
Ovvio che ogni modello di business innovativo abbia bisogno di tempo per diventare economicamente sostenibile, ma sulla base di altre esperienze in vari Paesi europei e non solo, nel 2013 il Ceo di Car2Go Europe, Thomas Beerman annunciava: «Normalmente raggiungiamo il break even dai 24 ai 30 mesi dal lancio, a Milano ci arriveremo entro la fine del 2014...». Previsione totalmente sbagliata, visto che al 31 dicembre 2012 Car2go Italia perdeva 378mila euro, certo imputabili ai costi di start up. A fine 2013, con quattro mesi di attività, le perdite erano già salite a 1,9 milioni. Ancora peggio però nel 2014, primo anno di completa attività, con 5,9 milioni di perdite, in aumento del 64%. Da quando è nata, Car2 Go Italia ha speso (o investito) molto più di quanto ha guadagnato. E l’ultimo bilancio registrato, quello del 2015, parla di perdite per circa 10 milioni di euro. I motivi possono essere svariati. L’incidenza del canone da versare ai Comuni, le spese per vandalismi e furti sulle vetture, la manutenzione, i costi del carburante, contratti di assicurazione e, naturalmente, l’acquisto delle auto. Oltre al proliferare della concorrenza, specie ora con l’arrivo del Gruppo Bmw e delle sue vetture targate DriveNow.
Anche gli altri operatori non se la passano meglio: nessuna società di car sharing in Italia oggi ha i conti in attivo, malgrado – come anche nel caso di Enjoy – tre anni di presenza sulle strade e il modello di business corretto in corso: tariffe ridotte, in alcuni casi esclusione dei neopatentati e forti limitazioni delle zone percorribili. Bilancio in rosso fisso anche per Enjoy, l’operatore di Eni che utilizza le Fiat 500 rosse. E per CS Group, operatore che gestisce il servizio Share’N Go (le vetture cinesi gialle completamente elettriche). In questo caso il gruppo ha inaugurato il servizio solo a fine giugno 2015 (le auto a noleggio, per ora sono 1.350 tra Milano, Roma e Firenze, con 44.500 abbonati in tutto) ed è presto per aspettarsi risultati in attivo. Ha già interrotto da mesi l’attività invece Twist, che solo nel 2014 aveva debuttato con le sue Volkswagen up! azzurre.
La società aveva chiuso il primo bilancio della sua storia con 16mila euro di perdita e 935mila euro di patrimonio per far partire il business. Solo nei primi otto mesi di vita, la società aveva dovuto sborsare circa 300mila euro per riparazioni dovute ad atti vandalici nell’area di Milano. Insomma, il car sharing piace, ma certo non rende come certi numeri farebbero pensare. E non solo in Italia. Car2Go perde anche negli Usa, in Canada e in Germania. Come DriveNow: il fatturato globale delle auto condivise di Bmw è forte ma il “rosso” in Germania – Paese che ha inaugurato questo tipo di mobilità – nel 2014 è stato di 7 milioni di euro. Ovvia l’obiezione: non guadagnano direttamente dal servizio, ma immatricolano migliaia di vetture in più. La risposta ufficiale fornita da Car2go Italia infatti è che il Gruppo «sta operando con successo in un numero di città sempre maggiore, in cui ha investito molto negli ultimi anni, con l’intento strategico di guadagnare sempre più quote di mercato a livello internazionale». E senza chiarire cosa ciò significhi esattamente, ribadisce che «il modello di business adottato funziona proficuamente e con successo a livello locale ed è sulla buona strada per perfezionarsi ulteriormente e stabilizzarsi anche a livello globale». Di certo a guadagnarci sono i Comuni. Quello di Milano incassa attraverso il bando addirittura 1.200 euro l’anno per ogni auto in car sharing sul suo territorio. Stessa cifra per il Comune di Roma.
Firenze ne incassa 600 e Torino 700. Solo da Car2go, insomma, la giunta milanese riceve 960.000 euro l’anno. Sono queste le tariffe che le amministrazioni ottengono per il libero utilizzo dei parcheggi sulle strisce blu e l’accesso alle Ztl. Più le multe incassate dove questo accesso non è consentito, ma molti utenti credono che lo sia (complice anche a volte una segnaletica poco chiara): sempre a Milano negli ultimi 3 anni il Comune ha comminato 10 mila multe per accessi vietati alle vetture di car sharing per un incasso di 1 milione di euro.