Professor Pietro Ichino, dai dati Anpal risulta che oltre un quarto dei beneficiari del reddito di cittadinanza tenuti alla sottoscrizione di un patto per il lavoro ha trovato un’occupazione da quando è stata istituita la misura. Significa che lo strumento è efficace anche sul fronte delle politiche attive? È un dato molto positivo, che andrà disaggregato e studiato attentamente - risponde il giuslavorista -. Non mi sembra, però, che lo si possa attribuire alle politiche attive del lavoro, perché non mi risulta che in questi ultimi due anni ne siano state effettivamente praticate, in particolare in favore di questo segmento della forza-lavoro.
Sono stati assunti migliaia di navigator… Ma non conosco nessun caso in cui un navigator sia stato effettivamente adibito ad assistere le persone nella ricerca di un lavoro. Del resto, questa è un’attività che richiede una preparazione specifica: nessun navigator la possiede. Nei Paesi del centro e nord- Europa i Job Advisor che svolgono questa funzione hanno una formazione specialistica di due o tre anni post-laurea.
Anpal e Unioncamere avvertono che in Italia potrebbero essere attivati 1,8 milioni di nuovi posti se ci fossero competenze disponibili. C’è ancora un pesante gap di professionalità da colmare? Ecco, questo è ciò di cui dovrebbero occuparsi le politiche attive del lavoro: quegli veri e propri enormi 'giacimenti occupazionali' che restano inutilizzati, per la non corrispondenza tra la manodopera che le imprese cercano e le attitudini delle persone che cercano lavoro.
Continuare a prorogare il divieto di licenziare è indispensabile? Non si rischia di rimandare sempre di più il momento in cui si dovranno fare i conti con la realtà? Siamo il solo Paese in Europa ad aver adottato questa misura. A marzo e aprile era pienamente giustificata dall’emergenza; ma il suo prolungamento è stato e resta un errore grave. Sostenere il reddito di chi ha perso il posto di lavoro è sacrosanto, e andrebbe fatto anche più robustamente; ma al tempo stesso, quando il vecchio posto non c’è più, occorrerebbe attivare tutti i percorsi che conducono verso la domanda di manodopera esistente. Che, come dicevamo prima, c’è anche in questo periodo di crisi e paradossalmente resta insoddisfatta.
Quali interventi servirebbero sul lavoro alla luce dei cambiamenti dovuti alla pandemia? Indipendentemente dalla pandemia, sarebbe indispensabile innervare capillarmente tutto il mercato del lavoro di servizi efficaci di informazione, formazione mirata e assistenza alla mobilità delle persone, in funzione dell’aumento della loro capacità effettiva di scelta. Occorrerebbe un servizio capillare di orientamento, soprattutto ma non soltanto per i giovani. E un monitoraggio a tappeto della formazione professionale, in modo che di ogni corso si possa rilevare il tasso di coerenza con gli sbocchi occupazionali effettivi.
L’economia e in particolare il mercato del lavoro posso reggere a un nuovo lockdown? Temo che sarebbe un colpo mortale. Proprio per evitarlo credo che sarebbe fondamentale consentire il lavoro in azienda per le persone sotto i 50 anni o i 55 anni, per le quali il Covid-19 non costituisce un pericolo letale, e riservare il lavoro da remoto, o la cassa integrazione, alle classi di età superiori. Questo schema consentirebbe anche di garantire maggiore continuità alle attività scolastiche: i ragazzi potrebbero continuare ad andare a scuola, seguiti di persona dagli insegnanti under 55, mentre gli over 55 potrebbero fare lezione da remoto, contando sull’assistenza in classe di un insegnante più giovane. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Un nuovo lockdown? Un colpo mortale. Prolungare il divieto di licenziare «è un errore grave. Se il vecchio posto non c’è più, vanno attivati percorsi verso la domanda di manodopera esistente». Pietro Ichino