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Ci sono sempre più titoli legati al mondo delle armi nei portafogli dei fondi di investimento europei che si presentano come “sostenibili” perché applicano criteri Esg, cioè valutano l’impatto dei loro investimenti su ambiente (enviroment), società (social) e gestione aziendale (governance).
È uno degli effetti della guerra in Ucraina, dicono i numeri di un’indagine portata avanti dalla piattaforma di analisi finanziaria Morningstar Direct per conto del Financial Times. Calcola MorningStar che nel primo trimestre del 2022, cioè all’inizio dell’invasione russa, i principali fondi Esg attivi in Europa e Regno Unito avevano un’esposizione di 3,2 miliardi di euro verso il settore della difesa. Oggi, a due anni e mezzo di distanza, gli investimenti dei fondi Esg su aziende che producono armi sono più che raddoppiati, a 7,7 miliardi di euro.
Perché i fondi Esg hanno sempre più azioni legati alle armi
In parte è stata una crescita “passiva”: in questi due anni e mezzo Sxparo, l’indice delle azioni europee dei settori difesa e aerospazio, è quasi raddoppiato, passando da 856 a 1565 punti. I portafogli di ordini di armamenti dei leader del settore, a partire dalla tedesca Rheinmetall, si sono riempiti come non accadeva da decenni e il valore delle azioni è schizzato: i fondi Esg che già prima dell’inizio del conflitto avevano fatto la scelta controversa di comprare questi titoli hanno visto salire il valore dell’investimento.
In parte però la crescita dell’esposizione dei fondi Esg sul settore degli armamenti è stata una scelta precisa. «Molti investitori hanno anche accettato la tesi dei governi secondo cui il sostegno ai produttori di armi, a lungo oggetto di boicottaggi e proteste studentesche, dovrebbe comportare connotazioni sociali positive piuttosto che esclusivamente rischi al ribasso» scrive il Financial Times, riportando ad esempio la posizione di Sonja Laud, responsabile degli investimenti di Legal and General Investment Management, società di gestione del risparmio con sede a Londra che amministra oltre 1.300 miliardi di euro di investimenti. «La situazione in Ucraina ha portato in primo piano la questione “Possiamo davvero difenderci?”» dice Laud, argomentando a favore dell’investimento nel settore delle armi come scelta che può entrare in una strategia Esg. L’idea di fondo è che davanti al crescere delle tensioni globali, finanziare i produttori di armi abbia un impatto sociale positivo a livello globale.
Un pericoloso cambio di rotta su richiesta dei governi
Nessuno nel settore della finanza sostenibile avrebbe probabilmente avuto il coraggio di argomentare a favore dell’acquisto di azioni o altri titoli legati ai produttori di armi negli anni ruggenti degli investimenti Esg (che hanno iniziato a frenare nel 2021): i fondi che compravano azioni di aziende del settore difesa lo facevano senza pubblicizzare troppo la cosa. Nascondere queste scelte di portafoglio però sta diventando difficile. I fondi di investimento Esg con una quota di azioni del settore aerospazio-difesa che supera il 5% del totale del portafoglio sono triplicati in due anni, da 22 a 66, e ci sono casi limite, riporta l’indagine di Morningstar, come alcuni fondi “sostenibili” di Bnp Paribas o di Amundi che hanno più del 10% del loro portafoglio investito sul settore aerospazio-difesa.
Ovviamente ci sono dei limiti: questi fondi non investono su aziende che producono armi definite “controverse”, come le bombe a grappolo o le mine, e valutano a quali governi le vendono. Ma è evidente che molti responsabili degli investimenti Esg non hanno saputo resistere a tenere le armi fuori dai loro portafogli. Da un lato perché non hanno voluto rinunciare agli enormi profitti che l’investimento su queste aziende ha dato in questi anni grazie al crescere delle tensioni internazionali tra Ucraina e Medio Oriente. Dall’altro perché non hanno saputo reggere alla pressione dei governi, che hanno esplicitamente chiesto alla finanza sostenibile di finanziare anche il settore della difesa, visto che l’attacco della Russia ha cambiato lo scenario.
In Europa era stato il Regno Unito, che nonostante la Brexit resta il centro finanziario del Vecchio Continente, a insistere per primo con i manager della grande finanza perché smettessero di negare finanziamenti a chi produce armi. Lo scorso novembre l’Ue gli è andata dietro. L’Agenzia europea per la difesa (Eda), ente intergovernativo che mette insieme i ministri della Difesa del Consiglio europeo, ha chiesto al settore finanziario europeo di mobilitarsi per sostenere le imprese che producono armamenti. Nel documento finale, sottoscritto da tutti i ministri, si chiede alla finanza Esg di cambiare atteggiamento, perché «il fatto che molti indici Esg escludano aziende con attività nel settore della difesa e degli armamenti ha conseguenze negative di ampia portata per l’industria della difesa, come limitare il numero di potenziali investitori istituzionali e privati, danneggiarne la reputazione e rendere più difficile per l’industria attrarre talenti».
I numeri dell’indagine di Morningstar lasciano pensare che l’opera di persuasione dei governi, che si è sommata ai profitti di Borsa dei titoli del settore, ha già dato i suoi effetti.
La finanza sostenibile italiana non ci sta
Sono tutti d'accordo su questa china bellicista presa dalla finanza sostenibile? Per fortuna c’è chi dice no, come Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica: «In qualità di investitore responsabile – dichiara il presidente, Marco Carlizzi – consideriamo estremamente preoccupante la crescita degli investimenti in società del settore degli armamenti all'interno di fondi Esg, soprattutto in un contesto geopolitico che spinge molti attori finanziari a cercare in settori controversi, come gli armamenti, ma non solo (basti pensare a petrolifero e nucleare), opportunità di profitto a breve termine, anche attraverso pratiche di arbitraggio, che auspichiamo possano ricevere un attento monitoraggio nel tempo. La nostra visione, invece, persegue una logica di crescita di medio-lungo periodo e resta salda e coerente: investire in armi non potrà mai generare un impatto sociale positivo. Le guerre causano vittime civili e devastano il tessuto sociale, l’ambiente e le economie. Per noi, mettere in campo altre armi non è la soluzione per cercare la pace. Per questo motivo, adottiamo da sempre un approccio rigoroso che esclude dai nostri fondi l'investimento nel settore della difesa, andando oltre la semplice esclusione di armi proibite da accordi internazionali, come le bombe a grappolo o le mine antiuomo».
Decisamente affine con quella di Etica Sgr è la posizione sul tema del Forum per la Finanza Sostenibile (Ffs). A luglio insieme hanno organizzato un webinar su “Promuovere una finanza per la pace” e sul rapporto tra sicurezza e sostenibilità Ffs ha previsto una sessione tecnica durante l’evento sugli investitori previdenziali nella giornata di chiusura della 13a edizione delle Settimane Sri (24 ottobre-7 novembre 2024): «La finanza sostenibile – spiega il direttore generale, Francesco Bicciato – si fonda sull'integrazione tra i fattori economici e quelli ambientali e sociali. Di conseguenza, secondo questa logica, gli investimenti in armi non possono essere considerati sostenibili. Gli investimenti sostenibili sono tali perché puntano a perseguire rendimenti economici includendo i fattori Esg nelle decisioni, nelle analisi e negli approcci d'investimento. Gli investimenti in armi non hanno le caratteristiche per generare impatti ambientali e sociali positivi e non sono dunque focalizzati sulla ricerca di una piena sostenibilità».
Infine, la posizione degli investitori che si richiamano ai valori cattolici, riassumibile al meglio in quanto scritto in Mensuram Bonam (MB), le prime linee guida sugli investimenti “coerenti con la fede” pubblicate a novembre 2022 dal Vaticano. Dove gli armamenti sono inseriti fra i criteri di esclusione: «I conflitti militari - si legge in MB - hanno sempre un costo in vite umane. La proliferazione incontrollata delle armi spesso facilita molte esplosioni di violenza e mina una pace sicura. Di conseguenza, le industrie che prosperano attraverso la produzione di questi strumenti di guerra e distruzione, sono coinvolte in un’attività riprovevole». Inequivocabile.