Saranno anche gli anni dell’invasione dei
selfie, della proliferazione dei canali televisivi e di occhi e orecchi sempre impegnati attorno a un telefonino. Nessuno, però, ci sta guadagnando molto. L’industria italiana delle comunicazioni attraversa una crisi pesantissima, dalla quale non si sta salvando nessuno. Nemmeno Internet, i cui ricavi lo scorso anno sono stati in calo per la prima volta. Le uniche due attività di comunicazione che nel 2013 sono riuscite a fare crescere il giro d’affari, rivela la relazione consegnata ieri al Parlamento dall’Autorità delle Comunicazioni, hanno poco a che fare con le nuove tecnologie: uno è la consegna di multe e atti giudiziari da parte delle Poste (il cosiddetto 'servizio in esclusiva'), l’altra il recapito di pacchi da parte dei corrieri espressi. Il giro d’affari del settore delle comunicazioni lo scorso anno si è ridotto di 5 miliardi di euro, a 56,1 miliardi. Soffrono tutti, ma chi sta peggio – sorprendentemente – sono le compagnie telefoniche. I ricavi del settore delle telecomunicazioni sono precipitati del 10,8%, a 34,5 miliardi, e al loro interno il fatturato della rete mobile è crollato del 13,9%, a 17,3 miliardi. Il settore paga una concorrenza che è stata anche troppo efficace, con i prezzi che oggi sono sotto del 30% rispetto ai livelli del 2005, una caduta che non ha paragoni in Europa. Solo lo scorso anno la spesa media la minuto per le telefonate dai cellulari è scesa del 25% (a 4,9 centesimi al minuto) e quella per il traffico dati è scivolata del 15,6% (a 12,2 euro per gigabyte consumato). È chiaro che in questa situazione diventa difficile trovare investitori disposti a finanziare il necessario adeguamento di una rete di telecomunicazione sulla quale, ha chiarito
Angelo Marcello Cardani, presidente dell’Agcom, «restano da compiere molti sforzi». Il mondo delle telecomunicazioni rappresenta più del 60% del settore delle comunicazioni. I servizi postali valgono il 12%. Il mondo dei media vale l’altro 28%. E anche qui è la storia di una caduta. I media hanno due fonti di guadagno: chiedere soldi ai clienti per avere i loro contenuti (come fanno i quotidiani o le
pay tv) e farsi pagare dalle aziende per pubblicizzare i loro prodotti. Entrambe le fonti di guadagno, però, si stanno restringendo. In qualche caso spaventosamente: i ricavi dei periodici si sono ridotti del 17,2% lo scorso anno, per l’effetto combinato della caduta delle vendite (-13%) e del crollo della pubblicità (-24%). Va appena meglio per i quotidiani, che anche grazie a qualche aumento dei prezzi sono riusciti ad arginare il calo dei ricavi da vendite (-0,5%) ma si sono visti comunque bruciare i ricavi (-7%) dalla caduta della pubblicità (-13%). Gli investitori hanno tagliato le spese per inserzioni del 10,9%, a 7,45 miliardi complessivi. Non potevano che colpire anche la regina degli spot, la tv, che ha incassato dalla pubblicità il 10% in meno rispetto al 2012 (3,2 miliardi di euro). La televisione, però, resiste meglio grazie al canone Rai (+0,4%) e alla tenuta degli incassi delle
pay tv (-0,3%): i ricavi del settore sono scesi del 4,4%%. Ma davvero non si sta salvando nessuno: i tagli degli investimenti pubblicitari non hanno risparmiato nemmeno Internet, che ha visto il primo calo delle entrate nella sua storia (-2,5%). Ma con i suoi 1,4 miliardi di incassi dalla pubblicità il Web quest’anno si prepara, per debolezza dei rivali più che per sua forza, a sorpassare per la prima volta periodici e quotidiani messi insieme.