mercoledì 29 giugno 2022
Il premier: Indonesia netta, ha detto che Putin non verrà, al massimo interverrà da remoto. Il Cremlino: non decide Roma Chiuso il G7, in serata l’arrivo a Madrid per il vertice Nato
Draghi, scontro con Mosca. «Putin non ci sarà». «Non decide lui»

Ansa

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La soddisfazione per il passettino avanti sul price cap a livello di G7 dura poco, per Mario Draghi. Il tema è immediatamente scavalcato da una polemica forte che da Elmau, in Germania, arriva a Mosca, e dal Cremlino ripiomba su Roma. Alla stampa, conclusi i lavori con i 7 grandi, il premier parla del G20 di Bali, in Indonesia, del 15-16 novembre. La premessa sono le parole dei giorni scorsi del presidente Widodo, che ha affermato di aver invitato Putin. Il premier, interpellato, risponde con una certa franchezza: «Quanto alla presenza del presidente Putin, il presidente Widodo lo esclude, è stato categorico: non verrà. Quello che potrà succedere sarà magari un intervento da remoto, vedremo». Immediata dal Cremlino giudica la replica, durissima: «Non decide lui» se Putin parteciperà o meno al G20, «non è più l’Italia a presiedere» il vertice.

A seguire, Palazzo Chigi smorza l’incidente, parla di equivoco, di trascrizioni semplificate del pensiero del premier, che si sarebbe limitato a riportare le parole di Widodo. Ma il punto, per Mosca, probabilmente è proprio quello: Roma avrebbe in qualche modo svelato il pressing del G7 sul Paese organizzatore. E non solo sulla presenza di Putin al G20, quanto sulla percezione del conflitto fuori dall’Occidente. In conferenza stampa, Draghi racconta dell’«aiuto» che i G7 vogliono dare all’Indonesia perché il summit di novembre sia «un successo ». Fatto «per niente scontato alla luce degli eventi», chiosa il premier. Ma per far pesare la piattaforma di Elmau anche a Bali, bisogna che i Paesi più ricchi, «potenti ma minoranza», dialoghino con chi sinora ha avuto «un atteggiamento abbastanza neutrale».

In questo senso, Draghi ha plaudito all’iniziativa di Scholz di aprire il castello di Elmau non solo all’Indonesia, ma anche ad Argentina, Sudafrica, Sudan e India. Tutti Paesi che, dice Draghi, «vogliono essere coinvolti». E ai quali le capitali ricche, consapevoli che «quando gli elefanti lottano è l’erba che soffre», devono porsi in maniera inclusiva, creando consenso attorno «ai propri temi, che sono la difesa delle democrazie, l’avversione alle auto- crazie». Non solo: Draghi rivendica che «ora Ue e Nato sono più unite e più forti», ci sono richieste di adesioni e dai «Paesi limitrofi» sale una domanda di sicurezza. «Le cose non sono andate come volevano Putin», conclude il presidente del Consiglio. In serata, quando il premier sbarca a Madrid per il pranzo offerto dai reali in apertura del Consiglio nazionale Nato, si comprende subito che Palazzo Chigi di una polemica forte con Mosca non aveva proprio voglia. Anche perché si nutrono maggiori speranza per un patto con il Cremlino sul grano, c’è la «buona notizia» che le navi possono andare su corridoi sicuri non minati, e per chiudere l’accordo «manca solo il sì» di Putin, anche secondo quanto riferito dal segretario dell’Onu Guterres.

L’intenzione, parlando del G20, non era quindi quella di aprire nuovi fronti. E allo stesso tempo, non c’era alcun interesse a mettere ombre sul «risultato» che il premier rivendica al G7, quello di aver indotto l’Ue, con la sponda di Usa e Gb, ad «accelerare» le valutazioni sul 'price cap' al gas con l’auspicio di avere questo strumento ad ottobre. Eppure, la posizione del premier verso la Russia sta diventando più netta e dura, rispetto a qualche settimana fa («Le sanzioni sono essenziali per il tavolo della pace», ha ribadito il premier). Anche le vicende politiche interne danno forse a Draghi la possibilità di spingere di più sul filone euroatlantico. E al vertice dell’Allenza atlantica il governo - presente anche con i ministri Di Maio e Guerini - sarà chiamato a dare risposte su temi che avranno implicazioni forti a Roma, soprattuto in area-M5s.

Il segretario generale Stoltenberg ha chiesto più investimenti in sicurezza, insomma il tema del 2% di spesa militare in rapporto al Pil ritorna con prepotenza sulla scena. Se non esattamente nei termini del 2% (obiettivo che il ministro Guerini, nel pieno delle polemiche, ha fissato al 2028), l’Italia sarà interpellata a fare di più. E la linea di Palazzo Chigi, che sarà ribadita, è di restare saldamente coordinati con gli alleati e con le analisi che gli esperti stanno facendo sulla nuova 'postura di deterrenza' della Nato. Così come non si sottrarrà, il governo, a un nuovo impegno per forniture a Kiev.

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