Dinamicità. Effetto e soluzione della crisi che da oltre due anni sta rivoluzionando il mercato del lavoro. Il cambiamento imposto dalla negativa congiuntura economica che diventa oggi opportunità per invertire la marcia e generare nuove spinte per lo sviluppo. Una rivoluzione inevitabile che parte da un assunto, ormai evidente da tempo: il lavoro è mobile, o ci si muove o ci si perde. Dimostrato oltre che dalla percezione di ciascuno di noi, anche dai numeri. «Fra il 2004 e il primo semestre del 2009, in Lombardia, motore economico del Paese, si sono verificati 19 milioni di eventi a livello occupazionale, tra avviamenti, cessazioni, trasformazioni o proroghe di contratti di lavoro, che hanno interessato 4 milioni di cittadini», sottolinea il professore
Mario Mezzanzanica, direttore scientifico del Crisp (Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità) e docente di Sistemi informativi all’Università degli Studi di Milano Bicocca, presentando ieri, nella Facoltà di statistica, la ricerca «Dinamicità e sicurezza: i dati del lavoro che cambia. Il mercato del lavoro in Lombardia dal 2004 al I semestre 2009» (Guerini e Associati).Su circa 6 milioni di rapporti di lavoro avviati, nel periodo preso in considerazione, il 71% di questi sono stati chiusi. Il fenomeno riguarda la quasi totalità di contratti flessibili. Ma sorprendentemente interessa anche i contratti a tempo indeterminato. «Oltre un milione di contratti di questo tipo – aggiunge Mezzanzanica – si è chiuso nel periodo osservato. Nel complesso il 50% dei lavoratori in tre anni ha modificato il proprio stato. Sono numeri che esprimono una elevata dinamicità del mercato del lavoro. Voluto o subìto, il cambiamento c’è e resta un fattore importante».Lo studio – reso possibile dall’incrocio dei dati dell’Osservatorio del mercato del lavoro della Regione Lombardia – evidenzia come gli avviamenti al lavoro nel periodo analizzato, su un totale di oltre 7,6 milioni, riguardano per il 54% i giovani tra i 20 e i 34 anni e il 32% la fascia 35-49. La crisi economica, osservata attraverso i dati di flusso, ha prodotto due effetti sostanziali in questo ambito: una diminuzione degli avviamenti e un innalzamento della quota dei contratti flessibili rispetto a quelli permanenti. Nei primi dieci mesi del 2010 si arriva infatti al 71% di contratti flessibili (nel 2008 erano il 65%) rispetto ai permanenti che dal 2008 a oggi sono passati dal 35 al 28%. Sul totale dei lavoratori osservati, il 66% risulta stabile nella tipologia contrattuale, il 21% migliora la propria posizione e il 12% la peggiora, passando da forme contrattuali permanenti a forme flessibili.Come trasformare il cambiamento di un tempo di crisi, in dinamicità virtuosa? «Aumentando la propria capacità di skill, di conoscenza e competenza – spiega Mezzanzanica –. Perché quando il mercato, come adesso, è in difficoltà, le aziende tendono a premiare le forze più qualificate a danno di quelle meno competenti». La «stabilità del lavoro» viene meno: all’idea di «posto fisso che dura una vita» si sostituisce il concetto di «percorsi di lavoro». Un progetto di vita che va oltre il «posto» che si occupa al momento e punta tutto sul «mestiere», sulla professionalità. «In questa direzione – conclude l’esperto della Bicocca – il fattore strategico per il raggiungimento della competitività per le imprese e che garantisce alla persona continuità per lo sviluppo dei percorsi lavorativi si chiama capitale umano». La sfida è educativa, è di prospettive, di desiderio, per richiamare l’espressione citata dal Censis per descrivere il declino del nostro Paese. Così competenza e dinamicità diventano la molla per uno scatto in avanti, per avvicinare imprese e lavoratori. E garantirsi la sicurezza del posto. Che non è fisso, ma in movimento.