Quando incontra un rifiuto galleggiante, apre le fauci e lo inghiottisce. Ha uno stomaco grande 60 kg e il nome da leggende britannica: Pixie. Solo che non si tratta di un folletto esploratore: è un drone che solcherà la laguna di Venezia a una velocità di 3 Km/h. Plastica, organico, vetro, carta, tessuti: il dispositivo si mangia tutto.
Gentile dono della Findus (impegnata nella campagna “Fish for good” per la salvaguardia degli oceani) il motoscafo ha un’autonomia di sei ore: ma niente pilota automatico Gps. Rischio incidenti nautici, lo devi telecomandare. Però l’idea è buona, soprattutto quando la corrente non aiuta i Seabin (i cestini mangia rifiuti piazzati in quasi cento porti italiani): il drone arriva se il vento è ostile. E cattura l’immondizia.
Mozziconi, sacchetti ma soprattutto plastica: nel mar Mediterraneo ci finiscono ogni anno 229mila tonnellate e bisogna fare attenzione alle particelle più piccole. I pesci le mangiano e noi mangiamo i pesci: il risultato è che –secondo uno studio di una Università australiana- ingeriamo ogni settimana una carta di credito (senza metafore).
A Rimini, altro regalo Findus, è stato installato un mega dispositivo mangia-plastica: si chiama Trash Collec’Thor, è sempre in servizio 7 giorni su 7 e digerisce fino a 100 kg di rifiuti. Buone prassi, ulteriori investimenti e sinergia tra strumenti tecnologici: il decalogo perché queste iniziative diventino piccoli passi possibili. Tipo la storia del Seabin installato sempre a Venezia sull’isola di Certosa: che ha raccolto 1700 Kg di rifiuti in 357 giorni, una media di quasi 5 kg al giorno.
La rotta è giusta, ma la navigazione verso la sostenibilità è ancora lunga: basta allontanarsi un po’ dalla costa per capirlo. Le ‘reti fantasma’, settanta rifiuti su 100 sono attrezzature di pescatori: buttate in mare o perse incidentalmente. Trappole invisibili che giacciono nei fondali e catturano tartarughe, cetacei e persino uccelli. Circa il 5% del pesce commerciabile mondiale rimane impigliato qui.
Usare strumenti a rischio medio-basso, limitare la pesca a strascico: ormai non si può fare altrimenti. E la Findus se la sta cavando bene. Francesca Oppia, program director dell’ente no profi Msc, dice che “l’azienda in cinque anni ha raggiunto importanti traguardi, passando dal 75% al 98% delle materie ittiche certificate e trainando anche altri attori del settore”.
Ambiente, pulizia dei mari, attenzione alla qualità dell’ecosistema: ora siamo consumatori responsabili. Novantatre italiani su cento sono preoccupati per la salute degli oceani e circa il 26% compra prodotti da pesca sostenibile (il 43% si dice disposto a farlo). Naturalmente anche la sostenibilità deve essere sostenibile: non si può smettere di pescare, bisogna farlo nel modo meno impattante possibile. Il giusto mezzo, non troppo, con misura: la filosofia greca insegna.