VACIAGO: PUNTARE SU INNOVAZIONE E GRANDI INFRASTRUTTURELa crescita è come una scala mobile: o si sale insieme o non si sale. Non si può crescere gli uni a spese degli altri». Ha in mente la lezione di «un grande cattolico francese, Jacques Delors», il professor Giacomo Vaciago quando gli si chiede di indicare la ricetta giusta per il nuovo Patto per la crescita a cui stanno lavorando Mario Monti e Angela Merkel. «Delors diceva sempre che doveva crescere l’Unione europea, non i singoli Paesi. E l’Europa non può portare a livello comune solo il valore della stabilità».Tutta colpa della Bundesbank?Andiamoci piano. Delors teorizzava tra l’altro che, fatto l’euro, ciascun Paese dovesse specializzarsi nei propri mercati di riferimento. Questo non è avvenuto dando così implicitamente ragione agli Usa, che non hanno mai creduto alle nostre teorie. Ciò è accaduto a prescindere dalla logica certamente tedesca con cui si è mossa nei primi anni la Bce. Risultato? Abbiamo davanti un’Europa che non è quella che sognavano i nostri padri. Anzi: è l’Europa delle Marine Le Pen e dei Beppe Grillo...Qual è stato l’errore?Non vorrei fermarmi a ciò che abbiamo sbagliato, ma è evidente che abbiamo messo insieme solo i difetti e non le virtù. Ora abbiamo di fronte uno o due trimestri ancora di recessione, poi dovrebbe arrivare il cambio di passo. Lo dice la storia: ci sono state otto recessioni negli ultimi sessant’anni, con una durata media di un anno e mezzo. Per ripartire, dovremo fare delle scelte.Quali?È sbagliato ragionare in termini di domanda interna. Keynes funziona se la macchina è perfetta e manca la benzina. Secondo me, oggi, manca il motore. Molto meglio ristudiarsi Joseph Schumpeter, un economista austriaco cresciuto ad Harvard.Anche Monti ha citato in passato la teoria della "distruzione creatrice" come paradigma possibile per una ripresa...Esatto. Per crescere serve innovazione, far fuori il vecchio per produrre qualcosa di nuovo. È l’ora del cambiamento, basta con le corporazioni. In concreto, è sufficiente ripescare la lettera firmata a gennaio da dodici primi ministri, tra cui Monti e Cameron. Che fine ha fatto? Lì c’era chiarissima l’idea che dobbiamo fare le grandi infrastrutture europee, favorire la crescita dimensionale delle imprese, puntare sulla banda larga, rilanciare l’integrazione investendo nel settore dei servizi.Che strumenti sono necessari?Non occorre stampare moneta. È sufficiente potenziare la Bei, la Banca degli investimenti europei. È il futuro, mentre il Fondo salva Stati si occupa dei debiti del passato. Poi teniamo alta la guardia sulla Grecia: la mina dell’instabilità ad Atene non è ancora stata disinnescata.SAPELLI: BANCA CENTRALE SUL MODELLO FED, VIA LIBERA A INTERVENTO PUBBLICOEuropa deve tornare a Keynes. «Subito, non c’è tempo da perdere» sostiene Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, che ha appena dato alle stampe per i tipi di Guerini e Associati L’inverno di Monti. «Mi pare che le parole più assennate sulla situazione le abbia pronunciate Draghi tre giorni fa. È ora di finirla con la politica dei due tempi».È stato sbagliato pensare prima al rigore e poi alla crescita?Come hanno detto diversi economisti post-keynesiani, fare politiche di austerità in una fase di recessione vuol dire solo provocare nuovi danni. Lo dimostrano i dati drammatici sulla disoccupazione. Il punto adesso è uscire da quella che per quindici anni è stata la vera follia dell’euro.A cosa si riferisce?Al fatto che è nata una moneta unica ma sono rimaste lo stesso le diverse banche centrali. Che vanno abolite immediatamente. Poi occorre cambiare lo statuto della Bce, che non può fare politiche monetarie come la Fed senza essere la Fed. Francoforte diventi subito prestatore di ultima istanza, non serve altro. Tanto meno la creazione di un mini-Fondo monetario che, come si è visto, costringe i singoli Stati a negoziare continuamente e a non decidere mai.Resta il fatto che la crescita andrà finanziata in qualche modo...Bisogna eliminare i tetti al deficit di ogni singolo Stato. Il più grave errore del Fiscal compact in Italia è stato l’aver propiziato l’idea assurda del pareggio di bilancio in Costituzione. Il problema principale non è il debito pubblico, ma l’intervento pubblico. Ripartiamo da Keynes. Bruxelles deve tornare allo spirito della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Serve un Piano Marshall per l’Europa e non arriverà prima di un anno.Nel frattempo, i mercati potrebbero già aver distrutto l’unione monetaria.I mercati reagiscono davanti all’instabilità e all’incertezza ma, se viene presa una decisione chiara, poi si adeguano. E il piano deve prevedere un grande sviluppo infrastrutturale europeo, interventi nelle nuove tecnologie e nella digitalizzazione, nuovo impulso ai mercati dell’energia. È necessario tornare a progetti strutturali industriali come volevano i padri fondatori dell’Europa.Saranno decisivi i voti del 6 maggio in Francia, Grecia e Germania?Più di tutto conterà il voto in Nord Reno Westfalia. Dopo Sarkozy, deve saltare anche Angela Merkel. Quanto all’Italia, credo che Monti andrà avanti fino al 2013, sperando che questo tempo serva per ricostruire il sistema dei partiti. Il modello per il futuro c’è già: è quello dei governi democristiani di centrosinistra che si sono succeduti dagli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Settanta, prima che il sistema degenerasse definitivamente.CAMPIGLIO: PRIORITA' A FAMIGLIE E IMPRESE, AUSTERITA' DA SOLA E' UN ERRORELa Germania? È la nostra Cina. Corre come una locomotiva e ha un avanzo di bilancio spettacolare. «Di questo passo, la periferia del Vecchio continente sarà tutta l’Europa senza Berlino» osserva Luigi Campiglio con disincanto. Per il professore di Politica economica dell’Università Cattolica, non possiamo capire la Grande Crisi senza conoscere almeno in parte l’orizzonte in cui si muove la classe dirigente tedesca, l’unica che ha in mano le chiavi per uscire dalla recessione e imboccare il cammino della crescita. «A Berlino i processi decisionali si misurano da sempre su tempi lunghi. Oggi invece occorrerebbe la prontezza pragmatica di un americano».Proviamo a imporre alla Germania la nostra agenda per l’Europa. Da cosa partiamo?Senza dubbio dalla creazione di istituzioni permanenti. Né il Fondo salva Stati Esm né tantomeno la Bce lo sono, sia in termini normativi che in termini di struttura organizzativa. Nel mondo non funziona così, basta vedere il Fmi o la Banca mondiale. Berlino deve mettere da parte il suo potere di veto e chiedere alla Commissione di finanziare opere pubbliche strategiche di respiro continentale. Se l’Europa va a pezzi, nel giro di un paio d’anni vanno a pezzi anche loro.Dal punto di vista industriale, invece, cosa serve?Bisogna ridare ossigeno alle piccole e medie imprese. La Banca centrale europea garantisca non più liquidità a pioggia, ma con modalità selettive visto che oggi lo stato di salute del credito è particolarmente preoccupante. Poi sarebbe necessaria una politica più attenta alle esigenze delle famiglie, anche perché il tenore di vita dei nuclei familiari europei, e italiani in particolare, si è drammaticamente ridotto negli ultimi anni.Cosa dicono i numeri?Tra il 1995 e il 2012 in Italia è avvenuta una trasformazione epocale nella capacità di risparmio delle famiglie: siamo passati dal 20% al 9%, mentre Francia e Germania non si muovevano dal loro 15-16%. L’ingresso nell’euro, proprio grazie al differenziale sui tassi d’interesse, all’inizio ha portato a un bonus di 70 miliardi a prezzi correnti. Poi però si sono susseguite manovre senza equità e i benefici sono finiti.Adesso l’incubo dell’Europa si chiama disoccupazione.È vero: la disoccupazione è la priorità per Paesi come l’Italia e la Francia, ancor più per la Spagna. Non lo è per la Germania, ma come detto Berlino non è l’Europa. Per noi sarà fondamentale ridurre il tasso di inflazione reale, quello legato al carrello della spesa: su prodotti alimentari come pane e pasta, abbiamo registrato una crescita dei prezzi doppia rispetto alla Francia. Gli interventi dovranno riguardare anche il caro-benzina e il caro-casa. A quel punto diventerà fondamentale ridurre la pressione fiscale soprattutto per le famiglie e le aziende che investono. L’austerità da sola è stata un errore.
Dopo la fase del rigore imposta dalla Germania il continente prova a ragionare su come rianimare l’economia. Ecco come tre economisti italiani - Giacomo Vaciago, Giulio Sapelli e Luigi Campiglio - valutano la posta in gioco.
Cambiare per crescere di Luigino Bruni
Cambiare per crescere di Luigino Bruni
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