I suoi più strenui difensori stanno a via Nazionale. È la Banca d’Italia, infatti, ad aver ribadito più volte come la riforma Fornero del lavoro non vada cambiata. Perché sta dando i suoi frutti con «la ricomposizione della domanda delle imprese verso posizioni standard di lavoro dipendente, a scapito delle tipologie atipiche o di lavoro parasubordinato, in linea con gli obiettivi della riforma stessa». In altri termini, secondo Andrea Brandolini e Sandro Momigliano del servizio studi di Bankitalia, a un anno dall’entrata in vigore della legge 92, la riforma Fornero appunto, le aziende starebbero tornando a privilegiare le assunzioni vere e proprie rispetto ai contratti atipici e più precari. Un giudizio non del tutto condiviso da altri osservatori, però.Gli ultimi dati sulla dinamica degli avviamenti dei contratti di lavoro relativi al primo trimestre 2013 e analizzati dall’Isfol la scorsa settimana, segnalano una nuova caduta di tutte le tipologie contrattuali, in particolare del tempo indeterminato (-7,4% sul IV trimestre 2012, -10,2% rispetto a un anno prima) calato fino a rappresentare appena il 16,6% delle assunzioni totali. Non vengono dunque creati "posti fissi" in più. Vero è, invece, che negli ultimi 6 mesi del 2012, non appena varata la riforma, si è assistito a un travaso di occupati da una forma contrattuale all’altra. In particolare è fortemente diminuito il ricorso ai contratti a progetto (circa 100mila in meno) e al lavoro intermittente, mentre, dopo un iniziale calo, è cresciuto il peso relativo del contratto a termine (dal 62 al 66%). Con il primo trimestre di quest’anno, comunque, questa sorta di opera di "pulizia" si sarebbe esaurita. Sconfortante il dato sul contratto di apprendistato, che pure dovrebbe rappresentare la forma privilegiata di avvio al lavoro per i giovani. Nel primo trimestre di quest’anno, gli avviamenti hanno registrato un -7,1 rispetto al trimestre precedente e un preoccupante -22,2% su un anno prima.Per Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia ed "estensore" della legge Biagi, si tratta del «flop annunciato di una riforma concettualmente sbagliata, perché fondata sulla convinzione di poter ingabbiare la multiforme realtà dei modi di lavorare in un unico o prevalente schema formale, quello del lavoro subordinato a tempo indeterminato». Ma le critiche non mancano anche da altri fronti. «Per i lavoratori atipici il bilancio della riforma non è positivo – spiega Davide Imola, responsabile Lavoro professionale della Cgil –. Il trend di drastica diminuzione dei contratti di collaborazione si è accentuato dopo l’approvazione della legge 92. Ma nella gran parte dei casi non si è trattato di un travaso verso forme maggiormente tutelate. Anzi, le imprese hanno costretto i collaboratori a passare dal "progetto" all’"occasionale" oppure più spesso ad aprire la partita Iva, non a caso in forte aumento». Secondo il sindacalista, «anche per gli interventi che andavano nella giusta direzione di limitare gli abusi, non si è previsto un percorso graduale di adeguamento, aggravando gli effetti della crisi. Occorre prestare maggiore attenzione a tutte le forme di lavoro autonomo e puntare sulla contrattazione».Negativo è anche il giudizio dell’Osservatorio di GI Group Academy: «Gli aggiustamenti registrati nei primi sei mesi si sono esauriti, con un lieve calo solo del ricorso a stage e collaborazioni a progetto, mentre la maggior parte delle aziende sondate ritiene che la riforma non abbia apportato alcun cambiamento». «Il compromesso da cui è nata la legge – commenta Stefano Colli-Lanzi, Ceo di GI Group – l’ha resa di fatto poco incisiva. Ora bisogna scegliere se fare un passo avanti o due indietro».