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Il dato di partenza drammatico e confermato da Confcommercio è il drastico calo degli acquisti in negozio. Si parla di un crollo del 30% nelle prime due settimane di ottobre rispetto all’anno scorso. Un fenomeno dettato dalle temperature ancora elevate, soprattutto nel Centro-Sud ma soprattutto dall’erosione dei consumi che colpisce tutti i settori ma in maniera particolare quello dell’abbigliamento e degli accessori. L’Istat parla di una contrazione del 10% nel terzo trimestre. «Spostare i saldi in avanti è una reazione di pancia, un argomento molto sentito dalla base, ma la problematica è così complessa che merita un’analisi approfondita delle variabili in campo» sottolinea Giulio Felloni, presidente di Federmoda. La Federazione di Confcommercio ha istituito un comitato composto da 13 persone che raccoglierà le valutazioni fatte a livello territoriale e poi si pronuncerà in maniera unitaria. «Al di là delle questioni climatiche occorre fissare delle regole precise. Il governo, ad esempio, ha ascoltato la nostra proposta di allineare la data di inizio dei saldi estivi, una misura per noi considerata essenziale per evitare il turismo per shopping». Il vero problema secondo Felloni è il rapporto con i fornitori, vale a dire le aziende del settore moda, e lo spostamento degli acquisti online, favorito dalla mancanza di regole omogenee.
Per Mario Resca presidente di Confimprese, posticipare i saldi non è una misura risolutiva. «I piccoli negozi comprano dai grossisti, le grandi catene direttamente dai produttori con ordini che vengono fatti almeno sei mesi». I cambiamenti climatici stanno provocando dei problemi a livello globale che si risolvono secondo Resca solo puntando su produzioni “just in time” che per rifornire i prodotti che man mano vengono venduti.
«Il confine tra i saldi, che si possono fare solo in alcuni periodi e le vendite promozionali è molto labile e per il consumatore in fondo irrilevante. Per i negozi fisici i ricavi rischiano di ridursi ai minimi termini per la concorrenza dell’online che non ha costi da sostenere» sottolinea il presidente di Federmoda. Una concorrenza anomala, sempre più agguerrita con fenomeni di costume come il Black friday di fine novembre che sono ormai entrati a far parte delle abitudini di acquisto, che rischia anche di avere come effetto collaterale la desertificazione dei centri storici. «Non è solo una questione legata al turismo ma proprio di tenere vive le città perché i negozi di vicinato sono un valore aggiunto per i cittadini ma anche per i brand visto che le vetrine sono una pubblicità gratuita» conclude Felloni. Ragionamento condiviso anche da Confesercenti. «I negozi di vicinato – spiega Benny Campobasso, presidente di Fismo - sono sfavoriti rispetto alla grande distribuzione e soprattutto alle piattaforme che hanno econome di scala per permettersi di vendere a prezzi molto competitivi potendo contare sui ridotti costi in fatto di personale e di infrastrutture e sulla mancanza di un regime fiscale uniforme tra il commercio fisico e quello online».