Al
quantitative easing della Banca centrale europea
manca un ingrediente essenziale: qualcosa da comprare. È stato lo
stesso Mario Draghi ad ammetterlo nella conferenza stampa di giovedì,
quella in cui ha rivelato che tra i membri del direttivo della Bce c’è
unanimità sulla possibilità di usare strumenti “non convenzionali”,
compreso l’allentamento quantitativo, cioè la creazione di moneta
attraverso l’acquisto di titoli di debito. Draghi ha fatto capire
che l’allentamento quantitativo che hanno in mente alla Bce servirebbe
principalmente a fare arrivare denaro fresco alle imprese della zona
euro. Tutte le politiche espansive adottate dalla Banca centrale in
questi anni di crisi, infatti, non ci sono riuscite. Il taglio dei
tassi fino al minimo storico, i prestiti Ltro, la promessa del piano
Omt per gli Stati in difficoltà: le mosse della Bce hanno aiutato le
banche a evitare una drammatica crisi di liquidità e gli Stati a
ridurre in maniera drastica il costo del loro indebitamento. Ma le
famiglie e le imprese, soprattutto nella “periferia dell’euro”,
continuano a finanziarsi con molta fatica e a prezzi alti. Ecco perché una misura drastica come il
quantitative easing, che avrebbe convinto anche i tedeschi, avrebbe senso solo se riuscisse
a finanziare la cosiddetta 'economia reale”. Lo strumento per farlo,
Draghi lo cita esplicitamente, sarebbero gli Abs, i derivati che le
banche costruiscono mettendo assieme i crediti concessi per poi
“cartolarizzarli”, cioè venderli. Il problema è che il mercato europeo
degli Abs praticamente non esiste più: con soli 65,4 miliardi di
dollari di nuovi titoli il 2013 è stato il suo secondo anno peggiore
dal 1998. Il secondo dopo il 2009, l’anno del panico da crisi
scatenato dagli Abs pieni di mutui
subprime americani che popolavano i bilanci delle banche di mezzo mondo. Diversamente dagli Stati Uniti, l’Europa non si è più ripresa da quel terrore. La Bce però ci sta lavorando. Vuole riportare il mercato della cartolarizzazioni in u- na
condizione di funzionamento “norma-le”, in cui gli Abs siano
relativamente semplici e quindi chiaramente valutabili. La revisione
degli attivi delle banche, partita all’inizio di marzo e da
concludersi durante l’estate, avrà un ruolo decisivo in questo senso.
Una volta che il mercato sarà ripartito, la Banca centrale potrà
intervenire comprando, con euro “freschi”, i titoli che mettono assieme i
crediti concessi alle imprese europee. Sarebbe il
“quantitative easing” di Draghi, e per essere efficace dovrebbe essere
massicio. Magari non mastodontico come quello da 4mila miliardi di
dollari della Federal Reserve americana, ma nemmeno troppo minuto.
Secondo indiscrezioni riportare ieri dal quotidiano economico tedesco
Frankfurter Allgemeine Zeitung gli economisti della Bce avrebbero
calcolato che se la Banca centrale comprasse debiti privati per mille
miliardi di euro otterrebbero un aumento dell’inflazione compreso tra
gli 0,2 e gli 0,8 punti percentuali. Mille miliardi in più in
circolazione potrebbero bastare ad aiutare le economie più fragili
della zona euro a combattere la deflazione, grande spauracchio
d’Europa. A febbraio, secondi i dati raccolti dall’Eurostat, l’indice
dei prezzi era in calo in Grecia, Slovacchia, Croazia e Portogallo.
Spagna, Irlanda e Italia si stanno pericolosamente avvicinando
all’inflazione-zero, il tasso medio della moneta unica è un +0,5%, un
ritmo dimezzato rispetto alla fine del 2013. Se i prossimi dati
sull’inflazione – attesi per il 30 di aprile – non dovessero mostrare
una svolta la Bce potrebbe accelerare e predisporsi a lanciare il
suo allentamento quantitativo nei mesi estivi. Gli investitori ci
scommettono, e si preparano comprando ancora di più titoli di Stato
periferici. Ieri il tasso dei Btp è precipitato di 9 decimi, al 3,15%,
nuovo minimo storico. Ora siamo a 162 punti di distanza dal Bund
tedesco. Da gennaio il rendimento è sceso quasi di un 1%. Un calo che
per il Tesoro significa più o meno 2-3 miliardi di euro di interessi
risparmiati, ogni anno, sui 300 miliardi di Bot e Btp da raccogliere da
qui a dicembre.