Più che di politica monetaria e mercati finanziari, a Jackson Hole, nel Wyoming, i governatori della Banca centrale americana e di quella europea hanno parlato di mercato del lavoro. Ancora «inceppato» negli Stati Uniti, secondo Janet Yellen, numero uno Fed; gravato da una «persistente elevata disoccupazione» nel Vecchio Continente, ha ammonito il presidente della Bce. Entrambi hanno pertanto confermato il sostegno all’economia, anche se le «munizioni» di cui dispongono sono diverse.L’Eurotower è pronta «a fare di più e a ricorrere a misure non convenzionali» per la bassa inflazione e la crescita debole. Draghi potrebbe cioè a spingersi oltre le misure annunciate a giugno. Il 18 settembre aprirà infatti nuovamente il rubinetto per contrastare il cosiddetto "credit crunch". Le banche italiane hanno già prenotato 50 miliardi e li dovranno girare a imprese e famiglie, perché il programma Tltro (Targeted long-term refinancing operations) prevede appunto che i prestiti siano "targeted", e cioè "mirati": se il credito non arriva all’economia reale, gli istituti devono restituire i soldi in anticipo. Ma il presidente della Bce ha ribadito ancora una volta che la politica monetaria accomodante non si sostituisce ai governi e alle riforme strutturali nazionali. Sulle quali è necessario premere per favorire la crescita e l’occupazione. Le riforme strutturali sul lavoro, in particolare, «non sono più rinviabili». Un avvertimento per spronare i governi ad agire che include però toni più morbidi sulle politiche di austerità: l’attuale flessibilità delle regole fiscali, ha detto Draghi, può anche essere «usata per meglio affrontare la debole ripresa e far posto ai costi delle necessarie riforme», sottolineando che le politiche di bilancio potrebbero essere più favorevoli alla crescita. È possibile ridurre infatti le tasse in modo «neutro», ovvero senza aumentare il deficit, così come è possibile un maggiore coordinamento a livello Ue. Questa volta il banchiere centrale ha anche definito «appropriato un ampio programma di investimenti pubblici», in linea con la proposta del presidente della Commissione. Accenno interessante in chiave di lotta alla deflazione, oltre che di benzina per la crescita, dopo la gelata arrivata dal Pil tedesco e francese che si sono andati a sommare al rallentamento dell’Italia, in una congiuntura particolarmente difficile per l’area euro. Il «whatever it takes» («qualunque cosa sia necessaria») di Draghi è imbrigliato però dalle rigide norme dello Statuto Bce. Che impedisce di finanziare le spese (pubbliche) dei Paesi. Ed è difficile, secondo molti economisti, che un
quantitative easing stile Fed (acquisto titoli in cambio di depositi e non un vero e proprio "stampar moneta") possa stimolare domanda aggregata e inflazione per riportarla intorno al 2%. Se fosse l’Unione europea stessa, invece, ad aumentare la spesa pubblica di qualità con investimenti coordinati e attraverso un maggior coordinamento della politica fiscale, sarebbe allora tutta un’altra musica.Quanto agli Stati Uniti, il mercato del lavoro resta secondo Janet Yellen «indebolito dagli effetti della Grande recessione». Per questo la Fed si muoverà cauta nel determinare quando i tassi d’interesse dovranno essere alzati. Per il governatore della Fereral reserve, il tasso di disoccupazione da solo è inadeguato a valutare la forza della ripresa statunitense: è sì sceso più velocemente delle attese, ha spiegato Yellen, «ma la crisi economica degli ultimi 5 anni ha lasciato milioni di persone ai margini, scoraggiati o intrappolati in occupazioni part-time, elementi che vengono colti dal solo tasso di disoccupazione». In tale contesto «non c’è una semplice ricetta per una politica appropriata», ha concluso, evocando un approccio «pragmatico» che consenta alla Banca centrale Usa di valutare i dati alla loro pubblicazione, senza impegnarsi su percorso prestabilito di politica monetaria.