giovedì 7 novembre 2013
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Il messaggio è soprattutto “politico”. Mario Draghi, governatore della Bce, ha portato il costo del denaro al minimo storico accompagnando la sforbiciata con una missiva Oltreoceano: da alcuni punti di vista, l’economia dell’Eurozona ha i “fondamentali più forti del mondo”. Quali? “Un deficit tra i più bassi in assoluto” e che si concreta “in un piccolo avanzo primario"; un’inflazione “bassissima”; “il più elevato surplus delle partite correnti del mondo”. Tradotto: non aspettatevi che il Vecchio Continente sia contagiato dalla sindrome giapponese. Ovvero dalla palude deflazionistica che intrappola tutti – famiglie, imprese, governi – nella orsa di bassi prezzi e bassa crescita. Il taglio dei tassi, infatti, è stato motivato con il rallentamento dell’inflazione e la necessità di stimolare ulteriormente l’economia attraverso la leva monetaria. Quando il costo del denaro scende, a indebolirsi è infatti anzitutto la valuta. Come ha fatto immediatamente l’euro nel cambio con il dollaro. E un euro troppo forte, in questo momento, è un forte ostacolo per l’export (lo ha ricordato, a Bruxelles, ieri, anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi). L’interventismo della Banca centrale ha raccolto subito il plauso di Enrico Letta che, dal bilaterale dublinese con Enda Kenny, a caldo, ha parlato di "grande notizia", a testimonianza di quanto Francoforte abbia a cuore le sorti della crescita e della competitività della zona euro.
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