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È la fine di un’epoca: Royal Mail, l’operatore postale britannico che per 500 anni è stato intoccabile emblema dell’identità nazionale, sta per essere venduta a un magnate estero. La società che la controlla, l’International Distributions Services (Ids), ha accettato ieri la proposta di acquisizione del miliardario ceco Daniel Křetínský. Il valore dell’operazione è di 5,2 miliardi di sterline.
Royal Mail, va precisato, non è un’azienda come tante. Le sue origini risalgono ai servizi postali organizzati all’epoca Tudor dal “Master of the Posts” per Enrico VIII. Nel corso degli anni (o meglio, dei secoli) è diventata un pilastro dei servizi pubblici di Sua Maestà nonché una delle realtà imprenditoriali più grandi del Regno Unito per numero di impiegati. Insomma, un baluardo di pura “Britishness” fondato sul lavoro. Si dice che Margaret Thatcher l’abbia risparmiata dalle privatizzazioni degli anni ’80 perché non se la sentiva di affidare ad attori non statali “la testa della Regina”: un riferimento all’immagine stampata sul francobollo che sintetizzava il binomio tra poste e nazione. L’approdo al London Stock Exchange, avvenuto nel 2013, ha segnato l’inizio di una fase nuova caratterizzata, tuttavia, da grandi cambiamenti nell’approccio alla corrispondenza: il numero delle lettere, sempre più rimpiazzate da chat ed e-mail, è precipitato mentre quello dei pacchi, vettore alla base del commercio elettronico, è schizzato. L’organizzazione, irrigidita dai “no” dei sindacati a proposte di ristrutturazione, è così andata in tilt causando gravi ritardi nelle consegne, obiettivi di performance mancati e, a catena, pesanti perdite. Il debito netto si aggira, oggi, intorno ai due miliardi di sterline.
Il fattore che ha contribuito a portarla sull’orlo del fallimento è stato il cosiddetto Universal Service Obligation ovvero l’obbligo legale di consegnare lettere, almeno una volta al giorno, sei giorni alla settimana, allo stesso prezzo in tutto il Regno Unito. Vincolo che per i pacchi è ridotto a cinque giorni su sette. È un retaggio che risale alle leggi che, tra il 2011 e il 2012, prepararono il terreno alla privatizzazione. L’obiettivo era aprire la società ai mercati senza tradire la sua storica vocazione di servizio. Principio che, lo ha segnalato l’anno scorso l’autorità garante delle comunicazioni, a lungo termine si è rivelato insostenibile.
Per salvare l’azienda dal fallimento stata ventilata addirittura l’ipotesi di una rinazionalizzazione. Poi è arrivato l’avvocato Křetínský, 48 anni, già azionista di maggioranza di Ids, che si è offerto di comprarla portandola nella rete che fa capo al suo Ep Group. La “sfinge ceca”, così il magnate viene chiamato nei salotti della finanza, non si è impegnato solo a sanarne i debiti. Dell’accordo fanno parte anche obblighi a cinque anni: mantenere Oltremanica gli uffici centrali, non rottamare il principio del servizio universale e non cambiarne il marchio rosso, il colore che caratterizza le iconiche cassette in metallo e le divise dei postini. Il miliardario ceco, che ha anche partecipazioni nella catena di supermercati Sainsbury e nel club di calcio West Ham United, ha garantito infine il riconoscimento del sindacato di categoria e il blocco dei licenziamenti fino al 2025.
Křetínský prospetta per la “vecchia” Royal Mail un futuro all’insegna della “trasformazione” e della “modernizzazione”. È troppo presto per capire come questi obiettivi verranno perseguiti. L’acquisizione deve, tra l’altro, ancora passare il vaglio (routinario) previsto, per motivi di sicurezza, in caso di investimenti stranieri in aziende “made in UK”. I laburisti, che molto probabilmente vinceranno le elezioni del 4 luglio, si sono proposti di vigliare sui piani di sviluppo che verranno al fine di salvaguardarne “l’identità e il ruolo pubblico”. Pesano, ciò nonostante, le parole con cui Dave Ward, segretario del Communication Workers Union, ha commentato il cambio di proprietà: «Accogliamo con favore gli impegni presi ma la realtà è che il servizio postale è stato deliberatamente snaturato». «Questa situazione – ha aggiunto - è il risultato di una privatizzazione fallimentare e ideologica avvenuta oltre un decennio fa».
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