Forse definirlo un «braccio di ferro» è troppo, ma Enrico Letta ieri ha mandato un messaggio informale a Bruxelles molto netto: la sospensione della prima rata Imu di giugno non necessita di alcuna copertura perché a fine anno non ci sarà nessuna minore entrata per lo Stato. La riforma dell’imposta sulla casa e sui servizi comunali (comprendente pure la Tares), che sarà pronta per luglio, sarà dunque a saldi invariati, e scaricherà i risparmi per la prima abitazione sui proprietari di più dimore e sulle fasce di reddito più alte.È un chiarimento necessario, perché se l’Ue continuasse a chiedere le «coperture preventive» nei fatti bloccherebbe il primo decreto dell’era Letta. Decreto che invece dovrebbe arrivare la prossima settimana. E che conterrà, oltre alla sospensione Imu (il cui problema contabile è l’anticipo di cassa ai Comuni, non la copertura economica), anche il miliardo e mezzo per la cig in deroga. Alla luce del ragionamento di Letta, sono proprio questi 1.500 milioni le sole risorse da reperire subito. E secondo le ultime verifiche del Tesoro, buona parte dei fondi necessari sono disponibili già dentro i meccanismi della cassa integrazione. Niente tagli, dunque. «Non voglio sentir parlare di manovre ora», è il
mantra del premier.A queste conclusioni Letta è giunto dopo una giornata di fitti colloqui con il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, con il titolare del Lavoro Enrico Giovannini e, in serata, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (il quale è stato aggiornato sul recente tour europeo del premier). Con Giovannini Letta ha fatto il punto circa le richieste d’urgenza delle parti sociali e sulle prime modifiche della Legge Fornero da inserire subito nel decreto. Saranno ridotti gli intervalli di tempo tra un contratto a progetto e l’altro, e saranno ridotti gli adempimenti burocratici a carico degli imprenditori per assumere in modo flessibile. Si prevede inoltre lo sblocco di 25-30 milioni per la "piccola mobilità", per le politiche attive di inserimento di categorie deboli.Sono misure di cui Letta ha parlato anche con il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, al quale ha confermato che l’altra parte del suo programma economico sarà sviluppato dopo la chiusura della procedura di deficit. Il congelamento dell’Iva e l’intervento sul costo del lavoro fanno parte dunque della «fase due», in cui l’Italia dovrebbe godere di uno spread più basso e di nuovi margini di flessibilità assicurati dall’Ue. «La vera svolta arriverà nel 2014», continua a dire il premier chiedendo di restare invece prudenti su quanto è possibile fare nel secondo semestre 2013. E il fatto che le Camere ieri abbiano approvato il Documento di economia e finanze con una risoluzione che chiede sì un maggior impegno su fisco e crescita, ma senza debordare dagli impegni Ue (la nota di aggiornamento dell’esecutivo arriverà entro la fine del mese) rafforza la strategia del premier a Bruxelles.Per il momento, dunque, il patto con la larga maggioranza tiene. Ma a Letta non basta. Sabato sarà all’assemblea del Pd. Una presenza non scontata. Il premier poteva sottrarsi, ma al contrario vuole essere lì e lanciare un messaggio: «Il governo ha bisogno di un Pd forte e unito». È netta la sua preferenza per un «segretario vero», ed è ormai circolato il suo «placet» per Epifani, figura ritenuta in grado di reggere sul serio il confronto parlamentare con il Pdl e portare a congresso un partito senza troppe fratture.Ma non è detto che la linea del vicesegretario uscente risulti vincente. Il confronto si annuncia aspro. E reso ancora più complicato da quanto accaduto ieri sui presidenti di commissione. «Enrico ha trattato direttamente con Berlusconi senza interpellare il partito, è stato lui a consentire al Cavaliere di imporre gli impresentabili», si mormora nel partito. Il «no» a Nitto Palma, dunque, sarebbe anche un segnale per il premier.