Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all'Università di Torino - Emblema
«C’è qualcosa di biblico in tutto questo. Nella Bibbia quando le cose avvengono, avvengono subito, senza tanto preavviso. Siamo dentro l’emergenza coronavirus da sole cinque settimane e già i nostri valori, le nostre priorità e i meccanismi del nostro agire sono stati toccati. Mi viene in mente la torre di Babele: Dio confuse le loro lingue e non si capivano più. Ci sono eventi che rimescolano tutto e ci lasciano diversi da come eravamo prima. Questo è uno di quelli». Per Mario Deaglio, tra i più autorevoli economisti italiani, è troppo presto per misurare l’impatto che il Covid- 19 avrà sulla nostra economia, ma già è chiaro che queste settimane critiche cambieranno profondamente le nostre abitudini, e questo cambierà anche il nostro modello economico.
Ci si interroga sulla forma di questa caduta e successiva ripresa: c’è chi dice che sarà una V, cioè un crollo seguito da un rapido rimbalzo, e chi indica una U, con una crisi più lunga e una ripresa meno rapida.
Ho provato a fare qualche calcolo sulla diffusione del contagio, entro fine mese i casi italiani potrebbero essere 25mila. Di per sé non è una grossa cifra, tra l’altro una buona parte dei contagiati guarisce. Ma quello che stiamo vivendo basta a sconvolgere abitudini e ritmi produttivi. Il mondo coltivava un’integrazione sempre maggiore e ora si dis-integra, si separa. L’effetto sarà profondo, più profondo di quello che abbiamo avuto nel 2008-2009. Sono passaggi storici. Tra la V e la U io la vedo più come una U con la gamba di destra 'più bassa', che per alcuni Paesi non arriva mai ai livelli di prima.
Che cosa intende quando parla di effetto profondo?
Già intravediamo che questa crisi incide in profondità sui comportamenti, le priorità, i gusti della gente. Pensiamo allo sport, che in termini di spazio sui media batte qualsiasi altra attività. Adesso è tutto fermo. Può essere che non si torni indietro, che anche passata la fase critica le persone inizino ad interessarsi ad altro. Ci sono anche novità positive. La scuola sta imparando che non sempre è indispensabile avere tutti gli studenti in classe per fare lezione. Le aziende stanno scoprendo davvero lo smartworking. Il mondo sta cambiando bruscamente e molto di questo cambiamento rimarrà, nel bene e nel male, quando il virus sarà solo un ricordo.
Sull’economia quali saranno i cambiamenti maggiori?
Penso che ovunque verrà rivalutata l’importanza del settore pubblico. Aspetto di vedere che cosa succederà negli Stati Uniti, con questa pandemia e una sanità lasciata al privato. Questa crisi mostra quanto sia importante avere imprese pubbliche in alcuni settori, a partire da istruzione e sanità.
Gli interventi che sta predisponendo il governo saranno efficaci?
Se questa crisi dura un mese e mezzo sì, non coprono tutti i danni che può avere un bilancio famigliare ma mitigano il disagio.
Al di là dell’infelice battuta di Lagarde, l’impressione è che le banche centrali non abbiano più grandi margini di manovra.
Intanto il bazooka spara un colpo solo, poi il razzo successivo è pesante da mettere in canna. Quello era il senso del “bazooka di Draghi”: una mossa drastica che non si ripete facilmente. Lagarde ha fatto cose giuste presentandole tremendamente male, soprattutto con mercati così nervosi in balìa dell’emotività. Le Banche centrali possono fare tante cose di politica monetaria, ma se il cavallo non beve, cioè se le imprese non investono, è inutile continuare a mettergli davanti da bere.
Qualcuno propone l’helicopter money, stampare moneta per farla arrivare direttamente alla popolazione. È il momento di provarci?
Si può fare tutto, però bisogna vedere come poi le persone usano davvero quei soldi. Se li mettono da parte serve a poco, se non c’è qualcuno che vuole usare quei risparmi. Le banche centrali dopo la crisi del 2008 hanno messo in circolazione molto denaro, ma le banche hanno preferito investirlo sui mercati invece che prestarlo alle aziende. Questo spiega anche il crollo dei listini. La salita di Wall Street dell’ultimo anno e mezzo è arrivata grazie ai soldi “piovuti dall’elicottero”. Le grandi società li hanno presi e si sono ricomprate le loro azioni, così le quotazioni salivano anche davanti a risultati reali non buoni. Adesso il giochino si è rotto e i valori crollano.
Può essere la volta buona in cui l’Europa si ritrova attorno a un grande piano di investimenti per il rilancio dell’economia?
Abbiamo la fortuna di avere un buona base di partenza. Il piano ecologico da mille miliardi di euro in dieci anni delineato da von der Leyen va proprio nella direzione giusta, anche se non ha entusiasmato l’Europarlamento. Poi ovunque ci sono infrastrutture cadenti da sistemare o ricostruire. Insomma, è da qui che possiamo ripartire per investire dando una spinta all’economia sul lato della domanda.