È quanto fotografa la ricerca svolta nel 2012 dalla Simon Anholt Brand Index. Ma a che cosa è dovuto l’appeal turistico della torre progettata dall’ingegner Gustave Eiffel e inaugurata in occasione dell’Esposizione Universale del 1889 (in attesa delle tre torri grattacielo di Milano realizzate per Expo 2015), rispetto alla classicità secolare dell’Anfiteatro Flavio? Certo, dietro la prima si erge tutta la spensierata bellezza di Parigi, capitale della Belle Époque; e attorno al secondo si espande la maestosità senza tempo della Città eterna. Entrambi luoghi inimitabili, meta di un turismo culturale che non conosce sosta. Eppure, cosa manca al Colosseo e agli altri monumenti italiani per balzare ai primi posti nella classifica, come meriterebbero per la loro storia e singolarità, inseriti come sono nel contesto spettacolare dei panorami, umani e naturali, del Belpaese? Ecco la questione: il contesto, ossia l’offerta che viene garantita in un frangente di massiccia globalizzazione.
Troppo spesso in Italia il turismo è ritenuto un’industria effimera e stagionale da spremere al momento, senza la lungimiranza di un flusso fidelizzato, continuo e costante nel ritorno o nel ricambio generazionale, come all’epoca del 'grand tour', quando la penisola era considerata una tappa fondamentale per l’educazione culturale dei gentiluomini europei dal ’600 fino al tardo ’800. I monumenti italiani raramente fanno rete e ognuno 'vive' per conto proprio, in una sorta di altezzosa solitudine. Tale e quale il sistema paese, che o stenta a decollare o semplicemente non esiste. Dai biglietti d’ingresso dei singoli musei alle infrastrutture: strade dissestate, parcheggi inesistenti, hotel e ristoranti dove il binomio qualità-prezzo, fiore all’occhiello dell’Italia enogastronomica anni ’60, segna ormai un vistoso deficit alimentando di fatto un tipo di turismo mordi e fuggi.
Nel 2012, Roma ha accolto 15 milioni circa di vi- sitatori che si sono soffermati in media 2-3 giorni. E a farne le spese sono gli stessi monumenti che, in tempi di crisi esasperata, con tagli indiscriminati e noncuranze, rischiano letteralmente di cadere a pezzi. Eclatanti in tal senso i casi di Pompei o della Reggia di Caserta che, a causa innanzi tutto dell’incuria, ha quasi dimezzato il numero di visitatori, passando da un milione all’anno a 600.000, una bazzecola in confronto dei 6 milioni e mezzo che, sul fronte francese, incassa ogni anno Versailles.
Della situazione di penosa sopravvivenza in cui versa il gioiello di Caserta, si è reso conto Massimo Bray, ministro per i Beni e le attività culturali e il turismo, visitando in bicicletta l’immenso parco dell’edificio. Contestualizzare, significa creare dei percorsi ad hoc, inserendo il monumento in un sistema sicuro che consente, al turista, di percepirne l’importanza nell’ambiente circostante, stratificato attorno a quel simbolo. Significa proteggere il bene storico e il territorio, cambiando in modo radicale la mentalità dell’evento unico e sensazionale da costruire, spendendo magari cifre considerevoli, per invogliare i turisti a concedere ogni volta la loro fiducia. Occorrono meno iniziative gridate e più mostre documentate, che possano mettere in risalto un patrimonio immenso riposto oggi nei depositi dei musei e dimenticato.
Un’eredità storica, che tocca a noi far fruttare al meglio. A partire proprio dal dilemma che avvolge il capitolo 'cartolarizzazioni': vendere (e che cosa, senza svendere) oppure recuperare? Nell’ultimo secolo sono stati vincolati in Italia più di 51mila immobili (fonte Mibac), pari a quasi 55mila chilometri quadrati, ossia il 18% del territorio nazionale. Una legislazione iperprotettiva, il che non è affatto un male, da adeguare però ai nostri tempi e che presenta, a volte, delle situazioni abnormi, soprattutto di carattere burocratico. Alcuni enti, vedi l’esempio della provincia e del comune di Lecce, sono sempre più propensi – se non costretti – a cedere il loro patrimonio edilizio per monetizzare e fare cassa. Il problema è che, accanto a strutture di scarso interesse storico e architettonico, finiscono sul mercato edifici di inestimabile valore. Un vero peccato, dato che storia e arte, se bene amministrate, rappresentano una fonte primaria di reddito e la tanto sospirata ripresa economica passa anche attraverso la valorizzazione delle risorse culturali.