Dal 2011 al 2014
la pressione fiscale dei comuni è cresciuta del 22%, passando dai 505,50 euro pro capite del 2011 fino ai 618,4 dell'anno scorso. È quanto rileva
la
Corte dei conti nella "relazione sugli andamenti della finanza
territoriale". Inoltre, sempre secondo la Corte dei conti, in cinque anni, tra il 2010 e il 2014,
i comuni hanno subito tagli per circa 8 miliardi di euro.
La magistratura contabile sottolinea, in via generale, che
i
livelli massimi di riscossione tributaria pro capite si
registrano nei comuni di fascia alta (oltre 249mila abitanti i
cui valori sono pari a 881,94 euro per abitante e quelli che
vanno da 60.001 a 249.000 abitanti con 694,69 euro per abitante).
A seguire i comuni della fascia più bassa (da 1 a 1.999 abitanti)
con 628,80 euro per abitante.
"
Per bilanciare la riduzione dei trasferimenti correnti dallo
Stato, gli enti locali hanno inasprito la pressione fiscale -
spiega la Corte dei conti - grazie, peraltro, a una disciplina
del patto di stabilità interno ancorata al criterio dei saldi
finanziari; mentre le Regioni, non potendo azionare la leva
fiscale in mancanza di sufficienti spazi finanziari concessi dal
patto per spese aggiuntive, hanno compresso le funzioni
extra-sanitarie e sacrificato, soprattutto, le spese di
investimento".
La Corte spiega che "il radicarsi di un
meccanismo distorsivo,
per cui il concorso degli enti locali agli obiettivi di finanza
pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di
aumento della pressione fiscale, trova origine nei pesanti e
ripetuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre
finanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il cronico ritardo
nella ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa,
necessaria per garantire servizi pubblici efficienti ed
economici".