Punto e a capo. Sulla rappresentanza sindacale, Fiom vince un match che conta. Di quelli che rimettono in discussione tutto l’impianto del nuovo contratto Fiat e delle relazioni fra azienda e Rsa. La Corte Costituzionale si è espressa sull’esclusione della sigla sindacale dalla rappresentanza e dai tavoli del Lingotto, dichiarandola «illegittima». L’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) è «incostituzionale» laddove «non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda». Parole che pesano. E che riaprono la partita della rappresentanza. Contro la decisione del Lingotto di non riconoscere le tute blu della Cgil, ci sono fascicoli aperti in tutti i tribunali dei territori in cui ci sia una presenza di Fiat. Con sentenze, finora, contraddittorie. «La Costituzione rientra in fabbrica. È una vittoria di tutti i lavoratori. Non ci sono più alibi: il Governo convochi immediatamente un tavolo con la Fiat e tutte le organizzazioni sindacali per garantire l’occupazione e un futuro industriale», commenta, raggiante, il segretario generale della Fiom Maurizio Landini. «Una sentenza di grande rilevanza e valore per le relazioni industriali e sindacali nel Paese», è la nota ufficiale della Cgil. La risposta di Fiat arriva in serata: «Con questa decisione la Corte ha ribaltato l’indirizzo che la stessa aveva espresso nelle precedenti numerose decisioni sull’argomento nei 17 anni durante i quali è in vigore l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori nella sua attuale formulazione». E in attesa di leggere le motivazioni, rilancia: «Viste le incertezze sollevate dalla decisione della Corte Costituzionale, la Fiat rimette piena fiducia nel legislatore affinché definisca un criterio di rappresentatività più solido e più consapevole delle delicate dinamiche delle relazioni industriali».Nel 2010 l’Ad di Fiat, Sergio Marchionne, subordinò il piano di investimenti in Italia – il progetto Fabbrica Italia da 20 miliardi poi ritirato per la negativa congiuntura del mercato – al via libera da parte del sindacato alla creazione delle Newco di Pomigliano e Mirafiori alle quali applicare un nuovo contratto con norme più restrittive su scioperi, malattie e pause. I metalmeccanici della Cgil non firmarono e votarono "no" nei referendum in fabbrica vinti da Cisl, Uil e Fismic sostenitori dell’accordo con Fiat. Marchionne uscì persino da Confindustria per non essere vincolato dal contratto nazionale dei meccanici. A seguito della mancata firma del contratto da parte della Fiom, la Fiat ha escluso i metalmeccanici della Cgil dalle rappresentanze sindacali. Landini parla di «vittoria di tutti i lavoratori»: «La Consulta ha sancito che il sistema su cui Fiat ha costruito tutto è illegittimo».L’euforia di Landini è giustificabile. Anche se sull’art. 19 c’è un gioco dei corsi e ricorsi storici. A "depotenziare" la rappresentanza nel testo dello Statuto, proprio nella parte "carente" che lo rende incostituzionale per la Consulta, è stato un referendum nel 1995, proposto da un raggruppamento di estrema sinistra, che andava da Rifondazione comunista ai Cobas, passando per una parte di Fiom e Cgil: il quesito abrogava il comma "a" che dava potere di rappresentanza alle «associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale». Limitando così le rappresentanze sindacali «alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva». L’intesa di Cgil, Cisl e Uil e l’elezione unitaria delle Rsu non ha mai fatto esplodere il caso. Poi la svolta Fiat e l’attuazione "letterale" dello Statuto, con la successiva controffensiva Fiom. Con un ritorno al passato. E sui suoi passi.