Per la prima volta dopo 25 anni di crescita ininterrotta, il Covid riduce la quota di valore aggiunto del terziario di quasi il 10% nel 2020. Gli effetti della pandemia hanno prodotto un calo dei consumi di quasi 130 miliardi, di cui l'83%, pari a circa 107 miliardi, in soli quattro settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Non va meglio sul fronte dell'occupazione, i servizi di mercato registrano la perdita di 1,5 milioni di unità. Questo il quadro preoccupante emerso dal rapporto dell'Ufficio studi Confcommercio «La prima grande crisi del terziario di mercato».
Nel 2020 il complesso dei servizi market ha registrato una flessione del prodotto in termini reali del 9,6% che arriva al -13,2% per i settori dell'area Confcommercio. Questi ultimi, in termini di incidenza del valore aggiunto sul totale, registrano una riduzione dal 41% del 2019, massimo di sempre, al 38,8%, valore prossimo a quello raggiunto nel 2007. In particolare, il segmento del commercio, in virtù della tenuta del dettaglio alimentare, ha in una certa misura contenuto le perdite, attestandosi a -7,3%. In doppia cifra, per contro, appare la contrazione nei trasporti (-17,1%); di eccezionale entità quella registrata nel comparto dei servizi di alloggio e ristorazione (-40,1%), una perdita di prodotto pari ad oltre otto volte quella più grave che si ricordi negli ultimi cinquant'anni per questo specifico settore, in corrispondenza degli impatti negativi sui flussi turistici successivi all'attentato alle Twin Towers del settembre 2001. La branca più penalizzata subito dopo i settori connessi ai movimenti turistici è risultata quella delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, il cui prodotto è diminuito rispetto al 2019 di oltre il 27%. Le perdite di PIL a valori correnti lo scorso anno sono state pari a poco più di 139 miliardi di euro (-7,8% rispetto al 2019) quasi totalmente a causa del crollo dei consumi interni, inclusa la spesa degli stranieri, che ha raggiunto la cifra di circa 129 miliardi di euro (-11,7%). Le perdite di acquisti di beni e servizi sono concentrate su pochi settori di importanza capitale nell'economia italiana: vestiario e calzature, servizi di trasporto, ricreazione e cultura, alberghi, bar e ristoranti, fanno contare complessivamente contrazioni dei consumi per circa 107 miliardi di euro, pari all'83% dell'intero calo di questa componente della domanda.
La concentrazione delle perdite di consumi e valore aggiunto «su pochi settori – viene evidenziato nel rapporto – appare oggi come un elemento di debolezza del sistema e giustifica la richiesta di sostegni adeguati a transitare questa parte di tessuto produttivo dalla crisi pandemica al momento della ripresa». «Per la prima volta nella storia economica del nostro Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante. Occorre, quindi, che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedichi maggiore attenzione e maggiori risorse a sostegno del terziario perché senza queste imprese non c'è ricostruzione, non c'è rilancio» ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
Quanto alle conseguenze sull'occupazione, i servizi di mercato registrano la perdita di 1,5 milioni di unità su una flessione complessiva di 2,5 milioni, dopo aver creato, tra il 1995 e il 2019, quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro. In particolare, indica il rapporto, in quell'arco di anni l'agricoltura ha perso 433mila unità di lavoro, l'industria 877mila mentre l'area Confcommercio ne ha guadagnate 2,9 milioni, determinando l'intera crescita dell'occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa). Nel 2020, rispetto all'anno precedente, all'ulteriore riduzione di 512mila unità di lavoro standard nell'industria, si aggiunge la perdita di 1,5 milioni di unità nei servizi di mercato. Infine, per quanto riguarda l'evoluzione delle imprese per forma giuridica, il rapporto dell'Ufficio studi Confcommercio segnala che negli ultimi 10 anni si è registrato un progressivo e costante spostamento dal modello di ditta individuale a quello di società di capitali rivelando una trasformazione del terziario di mercato da un grande comparto di piccole e piccolissime imprese a un grande comparto costituito sempre più da imprese piccole e medie.