giovedì 6 maggio 2021
La proposta di un bonus-malus e del 110% per la bonifica dell'amianto
L'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano

L'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano - Ansa

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«In Italia abbiamo un’ottima legislazione, ma dobbiamo lavorare di più sugli incentivi alla prevenzione». Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi, deputato del Pd dal 2006 al 2018, da un anno è consigliere d’amministrazione dell’Inail. Insieme a Livia Turco è stato l’autore del decreto 81 del 2008: una "pietra miliare" nell’ambito della sicurezza sul lavoro. La morte della giovanissima Luana D’Orazio, "inghiottita" da una macchina in un’azienda tessile in provincia di Prato, pone interrogativi concreti sui rischi che ancora oggi si corrono nelle nostre fabbriche.

Gli ultimi dati dell’Inail testimoniano un aumento delle morti sul lavoro nel 2021, cosa sta succedendo?

Dai dati generali si possono trarre alcune indicazioni, ma bisogna essere prudenti. Nei primi tre mesi di quest’anno abbiamo avuto 185 morti sul lavoro a fronte delle 166 nel 2020, con un aumento dell’11%. L’anno scorso, in media, c’erano 20 milioni di ore di cassa integrazione autorizzate a gennaio, febbraio e marzo, mentre quest’anno si sono moltiplicate per dieci o addirittura trenta volte. Con la pandemia gli incidenti mortali "in itinere", cioè durante il tragitto casa-lavoro-casa, sono diminuiti nettamente, ma gli altri sono aumentati. Il decreto Cura Italia infatti ha equiparato la malattia e il decesso da Covid all’infortunio. Le morti per pandemia rappresentano dal 2020 ad oggi circa un terzo degli incidenti mortali. Esaminando il solo dato dei morti sul lavoro, non "in itinere", possiamo quindi dire che una parte dell’aumento della mortalità può essere ricondotta ad una scarsa prevenzione.

Il trend degli ultimi anni indica, per fortuna, un calo costante delle morti.

Se analizziamo l’andamento degli infortuni vediamo come negli anni ’60, quelli del boom economico, c’erano 4mila morti all’anno, 11 al giorno. Poi, grazie alle leggi sul lavoro, alla Legge 626 e all’azione del sindacato, c’è stata una costante discesa sino a 1.600 morti all’anno, circa 4,5 morti al giorno. Questo fino al 2008. Dopo il 2008 con il decreto sulla prevenzione c’è stata un’ulteriore diminuzione. Negli ultimi anni ci sono circa mille morti all’anno, tre al giorno. Una cifra comunque enorme. Un effetto positivo innescato dal decreto 81. Abbiamo anche limitato il lavoro nero introducendo l’obbligo di denunciare l’assunzione un giorno prima di iniziare l’attività, per evitare le regolarizzazioni fasulle, post-mortem, e previsto la chiusura per le aziende che avevano più del 20% del personale non in regola. In due anni, 2006/2008, 5mila imprese sono state sospese e 2mila hanno riaperto regolarizzando.

Di lavoro però si continua a morire, serve una nuova legislazione?

Le norme ci sono, vanno applicate. Non sono state completate tutte le deleghe previste dal decreto 81. Ad esempio la patente a punti nell’edilizia che introduce una sorta di bonus-malus per le imprese che hanno meno infortuni. Come Inail ci stiamo battendo affinché i premi assicurativi vengano diminuiti a quelle che presentano piani di prevenzione. C’è anche un fondo apposito che purtroppo non viene utilizzato in tutta la sua potenzialità con il risultato che lo Stato, negli anni, ha tagliato questa voce di spesa. In Italia le leggi e i fondi ci sono, ma non vengono sfruttati sempre appieno. Penso al fondo per lavori usuranti: a disposizione dal 2008 c’erano 2,5 miliardi per consentire nell’arco di dieci anni di mandare in pensione 50mila lavoratori. Ma i criteri per accedere erano talmente complicati che i fondi sono stati in parte non utilizzati e tagliati.

Cosa serve per fare un salto di qualità sul fronte della prevenzione?

Siamo in una situazione paradossale: preferiamo spendere qualcosa come 45 miliardi all’anno per malattie professionali, inabilità permanente e morti sul lavoro piuttosto che investire in prevenzione. Il ponte Morandi qualcosa dovrebbe insegnarci. Chi ha gestito le autostrade per 50 anni con pedaggi monopolistici non ha pensato di fare una prevenzione seria e il risultato sono stati i 41 morti.

Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza può invertire questa rotta?

Considerando che stiamo parlando di transizione ecologica e digitale, di infrastrutture materiali e immateriali, penso che si debba investire soprattutto sulla transizione sociale e sull’abbandono di un modello che sceglie di riparare il danno più che prevenirlo. Basti pensare al dissesto idrogeologico. Al premier Draghi lancio un appello: ci sono a disposizione 200 miliardi di risorse del Pnrr. Dobbiamo rimettere in moto i cantieri per rimettere in moto l’economia, ma senza dimenticare la prevenzione. Non possiamo permettersi un boom modello anni ’60 con più crescita e meno sicurezza. Proprio per questo occorre incentivare la vocazione premiale per le aziende che mettono in sicurezza. Partendo ad esempio dall’estensione del bonus del 110% per chi effettua bonifiche da amianto.

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