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La fiammata dei prezzi dell’energia e gli effetti della guerra in Ucraina rischiano di bruciare circa il 3% del Pil italiano con ricadute pesanti sull’attività delle imprese e l’occupazione. La stima allarmante emerge dal focus Censis-Confcooperative elaborato sull’analisi del Fmi. Il mix dato all’impennata dei costi delle materie prime e dalla crisi provocata dal conflitto, sostiene il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini rappresenta “un macigno che potrebbe mandare in default 184.000 imprese che danno lavoro a 1,4 milioni di persone”.
Il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini - Ansa
Per il caro energia il Fondo monetario internazione, nel periodo prebellico, aveva stimato una contrazione del Pil pari all’1,5% a cui vanno aggiunti ora gli effetti della guerra che rischiano di costare all’Italia almeno un altro 1,5% di PIL (fonte centro studi Confcooperative) tra rincari delle materie prime, difficoltà negli approvvigionamenti, mancato export verso la Russia, chiusura dei flussi turistici e peggiorate condizioni per la circolazione delle merci.
“È un’economia di guerra e occorrono misure di guerra” suona l’allarme Gardini. Il numero uno di Confcooperative lancia però anche una proposta al governo per rispondere all’emergenza: “Le imprese vantano circa 60 miliardi di crediti nei confronti della PA ¬– spiega -. Le imprese creditrici potrebbero compensare il caro energia con i crediti vantati. La liquidazione sarà rimandata a un accordo tra Stato, Cdp, società energetiche e municipalizzate. Questo sarebbe particolarmente utile per la disponibilità di cassa delle imprese che si stanno indebitando per pagare la bolletta elettrica triplicata rispetto allo scorso anno. Molti settori dall’agroalimentare al welfare sono alla canna del gas”.
Tornando ai numeri dello studio, la maggiore l’incidenza del rischio chiusura è fra le imprese dei servizi (20,5%) e fra le piccole (21,3% nella classe 3-9 addetti). In base alle previsioni sul primo semestre 2022, circa 184mila imprese sarebbero esposte a un rischio tale da pregiudicare la propria attività operativa. Occupano poco meno di 1,4 milioni di addetti (il 10,5% sul totale) e rappresentano il 10,9% del valore aggiunto del sistema produttivo ( fonte Istat).