Il rapporto tra la Gran Bretagna e l’Unione europea non è mai stato schietto e questo è dovuto, secondo diversi analisti, al modo in cui l’allora primo ministro Edward Heath promosse l’idea di entrare a far parte dell’Unione. Heath volle far credere che il Regno Unito sarebbe diventato membro di un 'trading club', un club che avrebbe aiutato la Gran Bretagna a fare affari. All’inizio degli anni Settanta, quando il Regno Unito entrò nell’Unione, l’impero di sua maestà si era ormai praticamente sgretolato e il mercato comune si presentò come una grande opportunità. Ma gli anni a venire furono disastrosi per l’economia della Corona. Recessione, scioperi, blackout, settimane lavorative di tre giorni misero l’economia in ginocchio e molti puntarono il dito contro l’Unione. Da allora l’atteggiamento non è cambiato: ancora oggi, la maggior parte dei britannici crede che l’Europa non sia altro che una sanguisuga e se domani fossero chiamati a decidere in un referendum, una promessa fatta dall’attuale premier David Cameron se sarà rieletto, non c’è dubbio che sarebbero felici di dire addio ai cugini d’oltremanica. Lo stesso Cameron non sembra più disposto a difendere il legame.
Prima di partire per Bruxelles ha minacciato di bloccare, con il veto, ogni accordo che non fosse conveniente al suo Paese e così facendo ha continuato a irritare i colleghi europei, ormai stanchi dell’atteggiamento sfuggente e dell’ostentata superiorità della Gran Bretagna. Ma anche in casa c’è chi è convinto che la speranza di un futuro da solista sia un’illusione che potrebbe costare molto cara. E ne è consapevole il vicepremier e forte europeista Nick Clegg, che su questo tema continua a scontrarsi con Cameron.
Come del resto ne sono convinti tutti a Bruxelles: «In un mondo globalizzato – ha commentato qualche giorno fa il presidente del Parlamento europeo e deputato tedesco Martin Schulz – la Gran Bretagna rischierebbe troppo ad andarsene». Non dimentichiamoci, ha continuato, che «il mercato unico offre enormi benefici all’economia britannica e che l’Europa rimane la più importante destinazione per il commercio britannico e per il 50% delle sue esportazioni».