martedì 3 gennaio 2012
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​«Macché modello danese! Niente contratto unico, né reddito minimo garantito: il Paese ha bisogno di un grande patto sociale».Siamo alle solite, il sindacato si oppone a qualsiasi riforma...Parlo per la Cisl e noi non abbiamo pregiudiziali né mettiamo veti. Però chiediamo lo stesso atteggiamento alle imprese e al governo.E allora?Allora la sfida la lanciamo noi: non si può parlare solo di mercato del lavoro, parliamo di liberalizzazioni che sono state bloccate. Discutiamo di come si favorisce la crescita. E soprattutto di fisco: lì sta la chiave per tutelare i deboli e favorire il lavoro di qualità.Lo scambio possibile per un accordo, insomma, è con il fisco?Noi proponiamo che il lavoro flessibile costi di più all’imprenditore e porti più soldi al lavoratore, con una cedolare secca al 10%, perché possa avere maggiori tutele.Il leader della Cisl Raffaele Bonanni è dall’altra parte dell’Oceano, ma l’altra sera ha ricevuto la telefonata del presidente del Consiglio Mario Monti che gli annunciava l’intenzione di aprire un tavolo per la riforma del mercato del lavoro. Un obiettivo, però, che il segretario generale ritiene troppo «limitato».Non sarà che fate melina perché non volete accettare alcuna riforma del mercato del lavoro?Al contrario, siamo pronti a una discussione a tutto tondo, anzi siamo i primi a sollecitarla, visto che sulla manovra non c’è stata alcuna concertazione e questa si è rivelata pesantissima e iniqua. E poi chi può accusare il sindacato di fare melina, la politica che si è condannata all’autodissolvimento? Noi, quando c’è stato bisogno, ci siamo sempre assunti la responsabilità del cambiamento: sia in passato, sia nei mesi scorsi con la riforma della contrattazione. I partiti, invece? Non solo sono stati incapaci di riformare le istituzioni, di tagliare i costi della politica, ma persino sulle liberalizzazioni hanno imposto una marcia indietro.Però da tempo ci sono proposte in campo, come quella sul contratto unico e la flexsecurity alla danese...Non accettiamo modelli preconfezionati, costruiti in un freddo ambito accademico, ottimi magari per una tesi di dottorato, ma assai discutibili come elementi di regolazione generale nel nostro Paese. E poi fatemi capire come si concilia tutto questo con la riforma delle pensioni...Che c’entrano le pensioni?C’entrano eccome! Si è voluto accelerare al massimo e portate tutto il sistema al contributivo. Ci sta bene. Noi chiedevamo maggiore gradualità, ma non eravamo contrari al principio di commisurare gli assegni pensionistici ai contributi versati. Ora però bisogna essere coerenti. Primo: separare definitivamente l’assistenza dalla previdenza e mettere la prima a carico della fiscalità generale. Secondo: evitare di caricare sulla previdenza anche i costi di fantasmagorici sistemi di protezione, oppure redditi minimi e sistemi che nella nostra realtà finirebbero purtroppo per far aumentare l’inattività e l’assistenzialismo, se non addirittura vere e proprie truffe.Ma allora come si fa a tutelare meglio i giovani e a promuovere il lavoro stabile?La chiave è il fisco. I costi. Sbaglia chi ritiene che la precarietà sia stata causata dalla legge Biagi, che ha solo regolato meglio le forme di lavoro esistenti. La diffusione dei contratti precari è dovuta al fatto che costano meno, che per gli imprenditori sono più convenienti. E allora dobbiamo far sì che le forme di lavoro flessibile, pur necessarie nelle società avanzate, costino di più alle imprese – in termini soprattutto di contributi previdenziali – e rendano più soldi "netti" ai giovani. Con una sorta di cedolare secca: tassazione al 10%. Così potrebbero costruirsi anche una previdenza integrativa, così si possono finanziare anche migliori ammortizzatori sociali.C’è chi già paventa «tensioni sociali», ma così non finite voi stessi per soffiare sul fuoco del malcontento?La Cisl non soffia sul fuoco. Al contrario, offriamo la nostra disponibilità per un grande patto sociale. Di più, siamo pronti a mettere in campo le nostre capacità sul piano sociale che non nascono ieri, ma da 60 anni di presenza, impegno e rappresentanza nei luoghi di lavoro e nella società. Anche in momenti di tensione sociale terribile.Ma il tempo stringe: entro gennaio occorre portare a Bruxelles qualcosa di concreto...Se il clima è quello di una trasparente cooperazione l’accordo si può fare anche velocemente. Ma per fare un vero patto è necessario che anche i partiti escano allo scoperto e si assumano le loro responsabilità: niente giochetti da lobbies dietro le quinte, come sulle liberalizzazioni. Il governo non può far da solo e il Parlamento non può essere chiamato esclusivamente a votare la fiducia, dopo che le vere decisioni sono state assunte al riparo da orecchie indiscrete.Temete che i partiti si sottraggano o vanifichino i risultati della concertazione?Sapete come si dice dalle mie parti? «Né vogliono trebbiare né che si liberi l’aia», cioè che altri trebbino. Qualcuno mi sembra che non voglia fare le riforme necessarie e neppure che a farle sia un governo tecnico, perché a quel punto acquisirebbe troppa forza...
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