giovedì 20 giugno 2024
L'azienda molisana condannata per "pratica ingannevole" contesta il provvedimento e spiega perchè. Cresce intanto la propensione degli italiani verso le vetture asiatiche
Una linea di assemblaggio del Gruppo DR

Una linea di assemblaggio del Gruppo DR - .

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L’abitudine di “spacciare” per italiana un’auto che italiana non è (o almeno non è fabbricata nel nostro Paese) sta creando non pochi problemi ad alcuni costruttori. Ma se nei mesi scorsi Stellantis – di propria iniziativa – ha preferito cambiare il nome dell’Alfa Romeo Milano per evitare ulteriori polemiche, e si è vista bloccare dalla Guardia di Finanza 134 Fiat Topolino nel porto di Livorno a causa di un adesivo tricolore sulle portiere, ora scattano anche le sanzioni. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha infatti multato per 6 milioni di euro la molisana Dr Automobiles S.r.l. e la sua controllata DR Service & Parts S.r.l., “per aver attuato pratiche commerciali scorrette”. L'Antitrust ha accertato che DR, “nell'ambito dei messaggi e delle comunicazioni commerciali diffusi almeno a partire dal dicembre 2021, ha indicato l'Italia come origine e luogo di produzione delle sue auto”. Si tratta però di auto prodotte in Cina ed assemblate in Italia, attività che l’Antitrust sostiene sia “un marginale intervento di rifinitura”.
Quella che è definita “pratica ingannevole” è coincisa con un periodo di forte aumento delle vendite delle auto DR ed Evo sul mercato italiano. Il Gruppo (che comprende i brand DR, Evo, Sportequipe, X) ha chiuso il bilancio dello scorso anno con 32.657 immatricolazioni complessive (erano state 24.481 nel 2022). Inoltre, tre suoi modelli (DR 4.0, DR5.0 e DR 6.0) sono tra le prime 10 vetture a Gpl più vendute in Italia. I premi mesi del 2024 invece hanno registrato numeri negativi per DR, che ha fatto segnare un -31% di immatricolazioni ad aprile.

L'istruttoria ha accertato, inoltre, che DR Service e DR Automobiles, almeno a partire dal 2022, “non hanno garantito un adeguato approvvigionamento dei pezzi di ricambio e neppure una corretta assistenza post-vendita, tramite la rete dei concessionari e/o delle officine autorizzate”, cui - tra l'altro - non è stata fornita idonea formazione tecnica. Questa pratica - spiega l'autorità - può ostacolare l'esercizio dei diritti dei consumatori, compreso quello di ottenere la riparazione dell'automobile e un'adeguata assistenza post-vendita, anche nell'ambito della garanzia legale del prodotto acquistato. L'Antitrust ha deliberato che le due società, entro 60 giorni, comunichino le iniziative intraprese per far cessare queste condotte illecite.

Il gruppo molisano ha immediatamente diffuso una nota per respingere le accuse e annunciare l'intenzione di impugnare la delibera “non condividendola nel merito”. L’azienda evidenzia di non aver mai “celato al pubblico” l’origine dei suoi prodotti, anche sulla base di articoli giornalistici e servizi televisivi. “Al tempo stesso, le campagne advertising non hanno mai inteso pubblicizzare una pretesa integrale fabbricazione delle autovetture in Italia, quanto sottolineare il forte legame del gruppo automobilistico con il nostro Paese e la regione Molise sotto il profilo proprietario e storico”, continua il gruppo. Che sottolinea “ le importanti fasi che si svolgono nella sede di Macchia d’Isernia in termini di ricerca e sviluppo, design, progettazione, aggiunta di funzionalità, rifinitura e completamento delle auto commercializzate. Anche il patron, Massimo Di Risio, ha commentato l’esito dell’istruttoria: “Contestiamo in toto il provvedimento, fiduciosi di un totale ribaltamento. L’azienda è solida ed è in grado di sostenere anche un'eventuale, quanto improbabile, conferma della sanzione”.

La propensione degli italiani ad acquistare vetture proveninti dall'Asia comunque sta crescendo in maniera esponenziale. Aniasa e Bain & Company hanno presentato infatti la nuova indagine annuale sulla mobilità degli italiani, dalla quale emerge che un consumatore su quattro prende in considerazione un brand cinese per la sua nuova auto, anche in virtù dei prezzi più competitivi (indicati dal 29% come fattore di scelta) e della qualità complessiva (apprezzata dal 36%). Rimane forte però la preoccupazione per affidabilità, ricambi e servizi post-vendita: ambiti che secondo Gianluca Di Loreto, partner di Bain & Company, saranno cruciali per i produttori cinesi, chiamati "a migliorare ulteriormente la loro reputazione".

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