Il «Codice della partecipazione», che verrà presentato oggi come strumento di sostegno al tavolo delle parti sociali, impegnate a costruire nuove relazioni industriali. E soprattutto il piano triennale, «ormai pronto», che favorirà la «propensione all’assunzione da parte delle imprese, la crescita dei posti di lavoro e quindi un’adeguata distribuzione della ricchezza». Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi accelera, cercando di offrire alle parti sociali strumenti e stimoli per la ripresa anche dell’occupazione.
Qual è il messaggio del «Codice della partecipazione», che verrà pubblicato oggi?È il contributo alla costruzione di una via italiana alla partecipazione dei lavoratori ai risultati d’impresa. Si tratta di uno strumento che per la prima volta viene, seppur in modo informale, redatto riunendo tutto ciò che leggi e contratti hanno disciplinato in materia per sostenere l’attività del tavolo tra parti sociali, dedicato allo sviluppo di esperienze partecipative. E alla verifica di eventuali esigenze di novazione normativa. Il tavolo tra le parti sociali, infatti, era stato sollecitato anche da alcuni disegni di legge all’esame del Parlamento. Iniziative poi bloccate proprio su richiesta di imprenditori e sindacati che, nell’avviso comune sottoscritto il 9 dicembre 2009, avevano chiesto di poter concordare esse stesse l’esigenza o meno di nuove norme in materia e gli eventuali contenuti.
Il Codice quindi non prospetta l’approvazione di una legge per favorire la partecipazione, tutto è lasciato alla volontà di imprese e sindacati?Sì, saranno le parti sociali a indicare eventualmente se sia necessaria una qualche legge di sostegno. D’altro canto, cos’è la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa se non il definitivo abbandono della logica del conflitto distributivo, fondato sulla cultura classista dei rapporti di produzione? La partecipazione è il completamento di relazioni industriali di tipo cooperativo. E le stesse imprese sono aperte a sviluppare queste esperienze nella misura in cui queste si inseriscono in tale logica. Gli imprenditori comprensibilmente vogliono essere garantiti che la partecipazione sia uno strumento attraverso il quale i lavoratori concorrono ai destini condivisi dell’impresa, non un grimaldello per esaltare il conflitto distributivo.
C’è una "via privilegiata" alla partecipazione che il Codice sottolinea in modo particolare?Non il Codice, che riassume ciò che leggi e contratti dispongono in materia, come strumento per monitorare le buone pratiche esistenti e svilupparne altre. Il governo, invece, ha sempre auspicato la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa. Un collegamento diretto tra una parte del salario e gli utili. Senza escludere altre forme di correlazione degli stipendi con i risultati dell’impresa, con indicatori quali la maggiore produttività del lavoro, ad esempio. Ma il collegamento del salario con gli utili d’impresa appare la rappresentazione migliore della partecipazione dei lavoratori. I dipendenti già oggi condividono i rischi d’impresa – quando questa è in difficoltà o fallisce e il loro posto diventa a rischio – e invece è molto giusto e auspicabile che partecipino al rischio anche per i profili positivi, quando cioè si generano utili. Questo è l’aspetto che il governo intende favorire quanto più possibile.
Per farlo avete in programma un’estensione delle agevolazioni fiscali sul salario di secondo livello?Lo abbiamo già fatto. Perché alla base di questo processo c’è una decisione assunta nel primo Consiglio dei ministri di Napoli nel 2008, rinnovata poi con le Finanziarie 2008 e 2009 e ora appunto ulteriormente ampliata, di detassare il salario di secondo livello fino a un tetto di reddito del beneficiario prima di 35mila e dal prossimo anno di 40mila euro. Abbiamo anche deciso di concentrare la detassazione su quella parte del salario espressa dai contratti aziendali o territoriali, dedicati alla maggiore produttività o alla partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa.
Sulla vicenda della Fiat di Pomigliano, intanto, siamo allo stallo, come se ne esce?È sbagliato parlare di stallo. Anche se non ci sono tavoli formali, le parti stanno dialogando. Io sono ottimista. C’è stato un accordo, il referendum lo ha ampiamente confermato, ora la Fiat e i sindacati stanno approfondendo le condizioni per rendere conveniente questo investimento. Noi peraltro non siamo spettatori disinteressati, né inerti.
Il piano triennale sul lavoro è in dirittura d’arrivo? E cosa conterrà?È pronto e a giorni lo presenteremo. Il titolo è: «Liberare il lavoro per liberare i lavori». L’obiettivo è che venga sostenuta la crescita da un lato dalla disponibilità di professionalità adeguate e da una maggiore produttività del lavoro, dall’altro che venga garantita un’adeguata distribuzione della ricchezza attraverso la creazione di posti di lavoro. Si tratta di incoraggiare quanto più possibile la propensione delle aziende ad assumere, in modo che, a parità di crescita dell’economia, si determini una maggiore occupazione. Ciò che era stato avviato anche con le riforme Treu e Biagi, che ora meritano di essere attuate e ampliate. Con in più una fortissima idea di sussidiarietà. Questi obiettivi di maggiori competenze dei lavoratori e maggiore produttività nel lavoro si realizzano infatti riconoscendo il ruolo degli attori sociali, del territorio, dell’azienda come ambito idoneo nel quale le parti possono produrre questi risultati.