Anche se non tutti ne hanno chiara percezione il nostro modo di concepire l’economia sta vivendo una profonda rivoluzione nel passaggio da un modello lineare ad un modello circolare. Questo passaggio è al centro della strategia dell’Unione Europea RePowerEU e dato come assodato in prospettiva bipartizan dai programmi elettorali di tutte le forze politiche (Centro-destra, Terzo polo, Centro sinistra, M5S). Ma di cosa stiamo parlando esattamente? La rivoluzione dell’economia circolare si rende necessaria per assicurare la sostenibilità ambientale dello sviluppo ed evitare che la crescita economica crei un parallelo aumento di emissioni climalteranti, inquinamento dell’aria ed utilizzo delle risorse naturali tale da rendere impossibile la vita sul pianeta. Con la rivoluzione dell’economia circolare l’imperativo non è più creare valore economico "non-importa-come" quanto quello di disallineare la creazione del valore economico dal deterioramento progressivo degli indicatori ambientali, ovvero aumentare la nostra capacità di creazione di valore economico limitando al massimo (o arrivando ad emissioni nette zero) la produzione di CO2, di inquinanti dell’aria e di consumo di materie prime e risorse naturali. Per perseguire quest’obiettivo dobbiamo fare quattro cose importanti. Primo, aumentare la quota di "materia seconda" (riuso, riciclo) nella produzione di nuovi beni. Secondo, aumentare la durata media di vita dei prodotti. Terzo, gestire in modo ottimale il ciclo dei rifiuti minimizzandone la componente non riciclabile. Quarto, diventare più efficienti nell’uso dei beni di consumo strumentali aumentandone il tasso di utilizzo attraverso pratiche di "sharing" (è fondamentale che ognuno di noi abbia nel cassetto un trapano quando facciamo un buco nel muro una volta ogni cinque anni? O possiamo scambiarcene uno condominiale e utilizzarlo quando serve ?). Per realizzare questa rivoluzione è fondamentale cambiare occhiali ed è sorprendente quanto siamo indietro da questo punto di vista.
Quello che dobbiamo fare è in fondo semplice, si tratta di creare un rapporto che metta assieme creazione di valore economico e indicatori di deterioramento ambientale per vedere chi crea più valore lasciando la situazione ambientale il più possibile inalterata. Il "Rapporto sul Benvivere" nel quarto Festival dell’Economia Civile propone da questo punto di vista una provocazione statistica proponendo al lettore di indossare gli occhiali della circolarità. Lo fa in modo molto semplice creando una classifica di circolarità delle province italiane che propone due indicatori: i) i chilogrammi di emissioni climalteranti per euro di Pil prodotto a livello regionale (indicatore per il quale possiamo confrontare i nostri valori regionali con i dati nazionali raccolti da Banca Mondiale per i diversi paesi del mondo) e ii) il reddito provinciale creato per ogni microgrammo per metro cubo di polveri sottili (usando come riferimento le PM1O). La classifica delle Regioni italiane sul primo indicatore evidenzia come la creazione di valore economico nella Regione ecologicamente meno efficiente (la Sardegna) è quattro volte più climalterante che nel territorio più efficiente (la provincia di Bolzano). La classifica del secondo indicatore sottolinea come uno spicchio di Sardegna, ultima nella classifica della circolarità legata alla CO2, la provincia Sud Sardegna è prima nella circolarità legata all’inquinamento dell’aria e delle polveri sottili dove riesce a creare quattro volte il valore economico della provincia meno efficiente (Caserta) per ogni microgrammo per metro cubo di polveri sottili. Mentre il primo indicatore dipende fondamentalmente dalla scelta locale di fonti energia e dall’impronta di emissioni di industria, agricoltura e trasporti locali, il secondo indicatore trae benefici da vantaggi naturali dei territori quali vicinanza al mare o comunque maggiore circolazione dell’aria. Gli indicatori statistici forniscono una prima fotografia che va interpretata con cautela. L’impronta ecologica reale di un territorio dipende da una componente invisibile dei prodotti importati. Se la Cina produce molte più emissioni ma lo fa per produrre beni che noi consumiamo la responsabilità di quelle emissioni è in parte nostra. Inoltre possono esistere casi dove la circolarità non è esempio di virtuosità perché i dati dei paradisi fiscali sono ambientalmente virtuosissimi, ma nascondono in realtà alchimie contabili ed elusione fiscale. Il vantaggio di effettuare un confronto tra regioni e provincie italiane è però proprio quello dell’omogeneità rispetto a questi fattori che rende più attendibile il confronto. Se è inoltre vero che nella sfida della transizione ecologica contano i valori assoluti delle emissioni e non quelli relativi è pur vero che gli indicatori di circolarità come quelli proposti dal rapporto ci aiutano a capire una cosa molto importate, ovvero quali sono i modelli di sviluppo territoriale più capaci di creare quel valore economico che serve per occupazione, risorse per il welfare, servizio del debito avendo l’impatto minimo possibile sull’ambiente. In un tempo in cui ciò che conta sarà sempre di più non "quanto" ma "come" produrre, iniziamo innanzitutto ad utilizzare gli occhiali giusti.
La rivoluzione dell’economia circolare si rende necessaria per assicurare la sostenibilità ambientale dello sviluppo. Per realizzare questa rivoluzione dobbiamo cambiare "occhiali".
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: