Erano 71 miliardi nel 2011, secondo la Banca d’Italia. Una somma pari a circa il 5% del Pil italiano. È lo stock dei debiti delle amministrationi pubbliche verso le imprese. Un’enomità di denaro che il sistema produttivo italiano attende invano – nel bel mezzo della peggiore recessione che si ricordi – da enti locali e centrali dello Stato. 30-35 miliardi del debito complessivo fanno capo alle Regioni (soprattutto i crediti sanitari delle Asl), 15 miliardi a ministeri ed enti centrali, il resto agli enti locali. Il problema si è accumulato negli anni e con la crisi produttiva, la stretta creditizia e l’aumento record della pressione fiscale è diventato dirompente. Le imprese fornitrici delle amministrazioni pubbliche sono oltre 150 mila e in media devono attendere oltre 180 giorni, circa 6 mesi, per essere pagate. In Europa è il record negativo. In Germania si paga a 36 giorni e la media Ue è di 61. Difficile essere competitivi con questi
spread del credito. Insieme alla difficoltà delle aziende di accedere ai finanziamenti bancari, il debito della Pa è un palla al piede che rischia di portare ancor più a fondo l’economia italiana. Il mancato sblocco dei debiti pubblici comemrciali, cioé quelli contratti per lavori e forniture di prodotti e servizi, ha un effetto domino su tutta la filiera perché le aziende in attesa di denaro a loro volta non riescono a pagare i loro fornitori. Solo gli obblighi fiscali non possono essere elusi. Ma così lo Stato pretende tempi certi e rapidi quando deve incassare mentre come debitore è inadempiente.Dal primo gennaio scorso l’Italia ha aderito alla direttiva europea che impone agli Stati di pagare i fornitori entro 30 o al massimo (nel settore sanitario) 60 giorni: chi sgarra deve aggiungere l’8% di interessi. Dal 16 marzo la direttiva diventa obbligatoria in tutta la Ue e la Commissione annuncia la mano dura, minacciando procedure di infrazione verso gli Stati inadempienti. Per adesso, secondo Confindustria, la situazione non è cambiata. E se anche se gli enti pubblici diventasserro buoni pagatori sui nuovi debiti contratti, resta il problema di come smaltire lo stock pregresso. Lo scorso anno il governo Monti tentò di superare l’impasse varando diversi decreti per favorire le procedure di certificazione dei crediti. Un passo attraverso il quale le aziende dovrebbero potersi far anticipare dalle banche le somme attese. A quanto pare però la procedura non è riuscita a decollare. In parte per le difficoltà legate alla messa in opera del sistema informatico centrale, in parte perchè molti enti pubblici non si sono attivati. Le stesse banche poi non fanno la gara per anticipare i crediti alle aziende, temendo a loro volta i tempi lunghi dello Stato nei rimborsi.Il punto paradossale è che spesso le pubbliche amministrazioni non possono pagare anche quando avrebbero le risorse per farlo. Sono i meccanismi perversi del patto di stabilità, come più volte denunciato da Comuni e Regioni. Secondo le regole di contabilità italiane, spiegava ieri il vicepresidente Ue Antonio Tajani, il debito verso le imprese viene contabilizzato solo a pagamento effettuato: una regola che incentiva i ritardi nei pagamenti per mantenere i conti in ordine. Per ora resta un miraggio l’esempio spagnolo. In 5 mesi Madrid è stata in grado di pagare 27 miliardi di arretrati, previa intesa con la Commissione euroepa. Un intervento una tantum che ha comportato la formalizzazione di un ulteriore debito della Pa. Ma ha evitato il fallimento di molte imprese.