Sono 15 le manifestazioni di interesse per l'ex Ilva giunte entro la scadenza per la chiusura della fase preliminare della gara internazionale per l'acquisizione del polo siderurgico italiano. Si tratta di "attori nazionali e internazionali, alcuni dei quali hanno manifestato interesse per l'intero asset produttivo e altri per alcune parti non complete degli asset", ha spiegato il ministro delle Imprese Urso, che ha rivendicato al governo di aver "evitato il collasso" e, attraverso i commissari, di avere "in appena 6 mesi riportato alla piena funzionalità l'altoforno e programmato l'apertura di un secondo nell'ottobre di quest'anno e di un terzo nella prima parte del prossimo anno".
Si tratta del primo passo concreto, dopo il commissariamento (il secondo) deciso dal governo a febbraio. L’uscita di scena del socio privato ArcelorMittal, dopo un’estenuante trattativa, ha reso indispensabile la ricerca di un altro partner. L’ipotesi di un “nazionalizzazione”, tramite Invitalia lo Stato detiene il 32% delle azioni, è stata subito scartata dall'esecutivo Meloni perché troppo onerosa dal punto di vista economico.
La speranza è di arrivare alla vendita in blocco ed evitare il rischio “spezzatino” che metterebbe a repentaglio posti di lavoro e rami d’azienda. Ci sono tre gruppi che prima dell'estate hanno visitato gli impianti e sarebbero interessati, almeno sulla carta ad acquisire il pacchetto completo. Gli indiani di Vulcan Green Steel (ramo cadetto della famiglia Jindal che già che già nel 2017 aveva provato a rilevare il siderurgico per poi essere scalzato da Arcelor Mittal) insieme ai loro connazionali di Steel Mont, gli ucraini di Metinvest del magnate Rinat Akhmetov, già impegnati con il gruppo veneto Danieli su Piombino in un progetto da 2 miliardi di euro e i canadesi di Stelco che ormai sono passati agli americani di Cleveland Cliff. Ai gruppi prima citati, potrebbe aggiungersi il colosso giapponese Nippon Steel, che negli anni ’80 ha lavorato nell’allora Italsider di Stato con i suoi tecnici, che ha manifestato il suo interesse solo di recente a margine del forum di Cernobbio ma anche gli italiani Arvedi e Marcegaglia.
La procedura di vendita riguarda di dieci società tra Ilva in amministrazione straordinaria e Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria. Per il ramo principale del gruppo Ilva detiene la proprietà degli impianti mentre Acciaierie è gestore con un contratto di affitto sino al 2030. Dalla vendita degli asset i commissari ritengono di poter ricavare una cifra intorno al miliardo e mezzo di euro. Il piano industriale varato in estate prevede 1,8 miliardi di investimenti. Un miliardo è per il ripristino degli impianti, altri 680 milioni aggiuntivi serviranno per lo sviluppo tecnologico.
Le manifestazioni di interesse arrivate sono 15, dieci della quali per alcune parti specifiche dell’ex Ilva ritenute appetibili. Secondo indiscrezioni il gruppo Marcegaglia sarebbe interessato solo agli impianti del Nord, Novi Ligure e Cornigliano, mentre Sideralba guarderebbe al piccolo impianto di Racconigi, dove lavorano nei tubifici 100 addetti in sinergia con i 600 colleghi di Novi Ligure, e a Salerno, micro-sito anch'esso specializzato nei tubi. Sarebbero interessati anche Eusider di Lecco, società della famiglia Anghileri, Amenduni Steel che guarderebbe a Sovoca e a Racconigi e i turchi di Mitmetal interessati ai tubi. Gli svizzeri di Profilmec sarebbero invece interessati a una serie di attività di logistica e a Racconigi, il trader austriaco Charbones Holding alle attività di Marghera. Infine, i cinesi di Zheshang Development alle attività marittime. A piccoli lotti industriali e di servizi, sarebbero interessati anche piccole realtà come l'Industria Metalli Cardinale e Trans Isole.
Il processo Ambiente svenduto da rifare. I guai dell’ex Ilva sono iniziati nel 2012 quando la magistratura decise di mettere l’area a caldo sotto sequestro per gravi violazioni ambientali. Fu l’avvio di una lunga inchiesta Ambiente svenduto sulla gestione Riva del gruppo siderurgico, iniziata a metà degli anni Novanta dopo la privatizzazione dell’industria dell’acciaio. Sul fronte giudiziario una settimana fa è arrivata una doccia fredda con l’annullamento della sentenza che in primo grado, nel 2021, aveva portato a 26 condanne. Tutto da rifare quindi per il procedimento dal quale sono partiti i problemi del gruppo, finito due volte sotto commissariamento, con i lavoratori in cassa integrazione e con la produzione ridotta all’osso. Appena 3 milioni di tonnellate nel 2023. Impianti in pessimo stato e debiti non pagati gli altri nodi da risolvere. Senza considerare la questione occupazionale.
Dipendenti sotto quota 10mila. I dipendenti di Acciaierie d’Italia sono attualmente poco meno di 10mila, dei quali 6700 operai. Solo a Taranto lavorano 8mila persone. A fine luglio è stato approvato un nuovo piano per la cassa integrazione che coinvolge 3500 dipendenti nello stabilimento di Taranto e 450 negli altri stabilimenti tra cui Genova, Novi Ligure e Racconigi.
Urso: nel 2025 l'assegnazione. "Presumo che saranno tanti gli investitori internazionali e nazionali che manifesteranno il loro interesse", ha detto venerdì il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. "L'amministrazione straordinaria - ha aggiunto - è stata deliberata a fine febbraio e in pochi mesi siamo riusciti a rimettere in moto gli stabilimenti. Tra poche settimane sarà riaperto il secondo altoforno e a predisporre e realizzare una procedura di gara internazionale. Questa si concluderà mi auguro già nella prima parte del prossimo anno con l'assegnazione degli impianti”.
La priorità, su indicazione del governo e dei commissari, sarà data alle manifestazioni di interesse complessive. Se le proposte però non saranno ritenute non congrue, è possibile che vengano valorizzate le singole società. Non è escluso che eventuali cordate possano costituirsi in un secondo momento. Le manifestazioni di interesse sono soltanto il primo step della procedura. I pretendenti dovranno successivamente presentare i propri piani di sviluppo dell’azienda e allora potrebbero comporsi alleanze anche con gli investitori italiani. Un'operazione simile fu tentata quando la proprietà era dei Mittal, con l’ipotesi di affiancare ad Invitalia un altro socio industriale.