L’ultima volta che la Banca centrale europea ha alzato i tassi era il 13 luglio del 2011 e a guidarla c’era il francese Jean-Claude Trichet. Toccherà di nuovo a un presidente francese, Christine Lagarde, avviare una stretta monetaria per la zona euro. Anche stavolta accadrà in estate: sarà la prossima riunione del consiglio direttivo della Bce, fissata per il 21 luglio, a introdurre il primo aumento di tassi di interesse da oltre un decennio. Lo ha annunciato ufficialmente lo stesso consiglio direttivo, nella nota di chiusura della sua riunione di ieri.
Arriverà un aumento del tasso principale, azzerato dal 2016: salirà di 25 punti base, come ampiamente anticipato nelle settimane passate. I tassi sui depositi resteranno invece negativi, al -0,50%, così come rimarranno fermi quelli sulle operazioni di rifinanziamento (allo 0,25% e allo 0%). A settembre si andrà verso un secondo rialzo, che potrebbe essere di 0,25 ma anche di 0,50 punti, a seconda di dove si troverà l’inflazione europea dopo l’estate. Le stime per ora non sono positive: indicano un’inflazione al 6,8% quest’anno che scenderebbe al 3,5% l’anno prossimo e al 2,1% nel 2025. Come ha fatto notare Frederik Ducrozet, analista di Pictet tra i più esperti di politiche Bce, la Banca centrale per la prima volta ha invertito l’onere della prova: starà all’inflazione diminuire per convincere la Bce a non alzare i tassi di 50 punti base. Per il Pil della zona euro ci si attende una crescita del 2,8% quest’anno e del 2,1% sia nel 2023 che nel 2024. «L’elevato livello dell’inflazione rappresenta una sfida importante per tutti noi – si legge nel comunicato ufficiale –. Il Consiglio direttivo assicurerà un ritorno dell’inflazione verso il suo obiettivo del 2% a medio termine».
Nell’ambito della chiusura delle misure di politica monetaria ultraespansiva, dal primo luglio si fermeranno gli acquisti di titoli pubblici e privati con l’allentamento quantitativo. Chiuderà il programma App con cui Francoforte ha accumulato titoli per 3.249 miliardi di euro tra il 2015 e il 2022. Chiuderà anche il Pepp, il programma di acquisti per contrastare la crisi economica pandemia, con il quale ha accumulato altri 1.718 miliardi di euro di titoli. Quando le obbligazioni comprate andranno in scadenza, la Bce investirà gli incassi (interessi compresi) nell’acquisto di altri titoli «finché sarà necessario per mantenere condizioni di abbondante liquidità e un orientamento adeguato di politica monetaria». Gli incassi dalle vendite del Pepp, in particolare, potranno essere «adeguati» con l’obiettivo di frenare la «frammentazione del mercato».
Con termini meno diplomatici, si può dire che la Bce userà queste risorse per contenere gli spread. Su questo punto, però, Lagarde è rimasta vaga, anche con i giornalisti che hanno insistito per capire come potrebbe funzionare questo meccanismo anti-spread. Il presidente ha ricordato che la Bce ha già dimostrato di essere capace di evitare un’eccessiva frammentazione e di prevenire questo rischio. Ma ha anche chiarito che «non c’è uno specifico livello dei tassi delle obbligazioni o dei prestiti, o degli spread sui bond che attiverà questo o quell’intervento». La situazione sui titoli di Stato si sta surriscaldando. Il rendimento del Btp italiano a dieci anni mentre parlava Lagarde è salito di quasi 20 punti base, fin sopra al 3,70%, per poi chiudere al 3,58%, con uno spread di 218 punti sui Bund tedeschi. I Btp hanno appesantito la Borsa, che ha chiuso con un calo dell’1,9%.