A giugno il tasso di disoccupazione cresce in Italia e diminuisce in quasi tutto il resto dell’Unione europea. Rispetto al mese precedente – rileva l’Istat e conferma Eurostat – arriva al 12,7% (+0,2%). Tuttavia, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, minimizza: «I numeri di giugno confermano che siamo di fronte a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi». Resta il fatto che in un anno il numero di disoccupati è aumentato del 2,7% (+85mila) e il tasso di disoccupazione di 0,3 punti percentuali. Il tasso di disoccupazione giovanile sale invece al 44,2% a giugno e tocca il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensili e trimestrali, nel primo trimestre 1977. La disoccupazione aumenta di 1,9 punti dal mese precedente, ma al tempo stesso si riduce il tasso di inattività di 0,2 punti fino al 74%. A giugno ci sono 22mila occupati in meno rispetto a maggio (-0,1%) e 40mila in meno rispetto allo stesso mese del 2014 (-0,2%). Si tratta del secondo calo congiunturale degli occupati dopo quello di maggio (-0,3%). Ad aprile, invece, c’era stata una crescita dello 0,6%. A giugno gli inattivi sono 131mila in meno rispetto allo stesso mese del 2014 (0,9%) e c’è un leggero calo anche rispetto a maggio (-0,1%). L’Istat osserva che l’aumento dei disoccupati negli ultimi 12 mesi è «associato a una crescita della partecipazione al mercato del lavoro, testimoniata dalla riduzione del numero di inattivi». La disoccupazione cresce per gli uomini (+0,3 punti) e diminuisce per le donne (-0,1 punti). In controtendenza la zona euro, con il tasso di disoccupazione fermo all’11,1% a giugno. Invariato anche nella Ue a 28, a 9,6% e in calo sul 2014, quando era a 10,2%. Mentre è in rialzo in quattro Stati membri dell’Ue rispetto all’anno: Belgio (da 8,4% a 8,6%); Romania (da 6,8% a 7%); Austria (da 5,7% a 6%) e Finlandia (da 8,6% a 9,5%). Per il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato. Sostanzialmente, si può dire che 111mila lavoratori, tecnicamente occupati, ma impiegati a zero ore, oggi sono tornati a lavorare a tempo pieno. Cala il ricorso alla cassa integrazione guadagni, che passa da 475 milioni di autorizzate nel primo semestre del 2014 a 365 milioni di ore autorizzate nello stesso periodo del 2015». Intanto, però, dai sindacati arrivano le critiche al governo. «È ancora possibile modificare radicalmente il Jobs Act – commenta il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino – e varare vere politiche attive: un sistema di ammortizzatori che risponda alle esigenze del mercato del lavoro e un piano che crei nuova occupazione». Il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, invece, si augura che «questi dati, che continuano a essere preoccupanti, destino il governo da questo torpore e dal concetto tutto renziano del potere fare tutto da solo. Le regole possono creare più stabilità, ma i posti di lavoro per i milioni di disoccupati che vivono nel nostro Paese si creano solo con la crescita e lo sviluppo e su questo mi sembra che l’azione del governo continui a essere assolutamente debole a partire dalla mancanza di interventi sul Sud. Il lavoro non si crea con la speranza, si crea con gli investimenti, dando qualità al sistema Italia ». Secondo Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, «le politiche messe in campo dal governo per invogliare le aziende ad assumere, restano monche e inefficaci». «Chiediamo a Renzi – conclude il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone – di non lasciar morire 'il paziente Italia' e di aprire un confronto serio e immediato con le parti sociali prima che la crisi economica assuma i contorni di un autentico dramma sociale».