«Forse non è un testo perfetto e personalmente ritengo che si potesse osare di più, ma indubbiamente il provvedimento va nella direzione giusta». Giovanna Melandri, presidente di Human Foundation e di Social impact Agenda per l’Italia, commenta a caldo l’ok dell’Aula del Senato alla riforma del Terzo settore. E, pur non risparmiando qualche critica su alcuni aspetti specifici, giudica positivamente l’impianto complessivo della misura: «La nuova cornice, così come è stata costruita nei vari passaggi parlamentari, sembra eliminare una serie di rigidità dovute a norme obsolete e compie un passo importante d’apertura verso coloro che vogliono investire in questo mondo e finora erano impossibilitati a farlo proprio per l’assenza di un provvedimento adeguato».
Presidente, che cosa le piace di più di questa riforma? Introduce innovazione e propone buone soluzioni. Penso, in particolare, al meccanismo di aggiornamento costante dei settori in cui un’impresa sociale potrà agire. Oggi ci sono ampi spazi in vari campi – dalla cultura, allo sport, passando per le rinnovabili – e sempre più ce ne saranno in futuro. È importante non chiudere la porta ad aree ad alto potenziale di crescita.
Che cosa potrà cambiare per il Terzo Settore con questa legge? Mi auguro che la riforma possa accelerare la costruzione di un ponte ormai necessario per far incontrare l’impresa sociale e quei capitali pazienti indirizzati verso gli investimenti a impatto sociale. Con questa nuova formula, spero che l’impresa sociale non si limiti a essere un agente di coesione, ma diventi un vero e proprio motore di sviluppo sostenibile a livello ambientale e – appunto – sociale. Aspettiamo di poter leggere il testo definitivo, ma mi pare che il ddl lasci qualche spazio all’utilizzo di strumenti innovativi come i
social impact bonde i fondi di equità sociale.
Per una manciata di voti e tra le polemiche è passata la norma che istituisce la 'Fondazione Italia Sociale'. È un organismo utile? L’idea di fondo è giusta. Mi sembra evidente che sia un’operazione nata non per utilizzare soldi pubblici, ma piuttosto con l’intento di catalizzare risorse private aggiuntive – e non sostitutive – a quelle destinate al welfare. Il successo della Fondazione dipenderà proprio dalla sua capacità o meno di essere un magnete di investimenti.
Qual è la situazione sul piano normativo negli altri Paesi europei? Tra pochi giorni sarò a Parigi per incontrare il sindaco della capitale, Anne Hidalgo, visto che la Francia sta lanciando il primo fondo per investimenti a impatto sociale. Il Regno Unito e il Portogallo sono già avanti e pure in Germania si sta muovendo qualcosa. È in corso una profonda riflessione internazionale sul ruolo da protagonista che deve avere la finanza a impatto sociale.
La riforma è sufficiente per realizzare lo scatto in avanti che lei auspica? È un tassello importante, ma non basta a costruire un ecosistema virtuoso. Ecco perché il governo dovrebbe creare un fondo
ad hoc a cui possano attingere gli enti territoriali per sperimentare strumenti come i
social impact bond.