Pier Giorgio Frassati - .
La vita di Pier Giorgio Frassati (di cui il prossimo anno verrà ricordato il centenario della morte) è stata quasi immediatamente considerata un modello da proporre ai giovani, principalmente ai futuri soci adulti dell’Azione Cattolica. Alcuni di essi, come il beato torinese, sono stati scelti dalla Chiesa come candidati agli altari: c’è chi è morto in giovane età, mentre altri sono pervenuti all’età matura, tutti con la certezza di aver sempre avuto in lui uno sprone per la propria santificazione. Per questo si può paragonarlo, senza retorica, a un capocordata che, come nelle scalate in montagna tante volte compiute in vita, ha guidato altri nel cammino verso Dio.
Due compagni di studi di Pier Giorgio al Politecnico di Torino sono attualmente servi di Dio: Zaccaria Negroni, che ha portato avanti il suo stile caritativo durante la Resistenza e nella ricostruzione del secondo dopoguerra (ha anche fondato l’editrice Ave), ed Emilio Giaccone, diventato come un secondo padre per i bambini orfani dell’Enaoli (Ente nazionale assistenza orfani dei lavoratori italiani). Torinese come lui, più giovane di cinque anni, era Paolo Roasenda, più noto come padre Mariano da Torino, il venerabile cappuccino che per primo ha condotto programmi religiosi nella tv italiana. Ricordava bene, a distanza di anni, l’emozione che tutta Torino aveva provato ai funerali di Frassati; più di una volta ha parlato di lui in conferenze e articoli.
Nella storica sfilata per il cinquantesimo di fondazione della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, mentre Frassati era in abbigliamento goliardico, a reggere la bandiera della diocesi di Parenzo e Pola c’era un giovane disegnatore tecnico navale, Egidio Bullesi: venerabile dal 1997, vide anche lui nell’Ac e nell’adesione a un Terz’Ordine, quello francescano, due strumenti per vivere da cristiano anche in un ambiente ostile, ovvero quello della Marina e dei cantieri navali. La primissima biografia, scritta dal salesiano don Antonio Cojazzi nel 1928, è stata fondamentale per chi non aveva potuto incontrarlo di persona. Vale, per esempio, per Defendente Zambra, detto Dino: oggi servo di Dio, decise che sarebbe vissuto sobriamente e avrebbe condiviso coi poveri i beni di famiglia, sicuro che Pier Giorgio avrebbe fatto lo stesso.
Alberto Marvelli, beato dal 2004, già da prima di compiere diciott’anni aveva letto quella biografia: in quell’occasione, infatti, l’ha menzionata nel suo diario, ma due anni dopo è tornato sulle impressioni ricevute.
Marvelli e Frassati erano uniti nel cuore di Giuseppe Lazzati, attualmente venerabile, ma anche nell’agenda, dove conservava le loro immagini. Il “Professore”, come lo conoscevano in tanti, non aveva incontrato personalmente Pier Giorgio, come gli era successo con Alberto, ma a diciott’anni aveva letto anche lui il testo di don Cojazzi. Non l’aveva più dimenticato, tanto da essersi rivolto direttamente a papa Paolo VI, il 10 maggio 1975, per chiedere spiegazioni circa il rallentamento della sua causa.
Al di fuori d’Italia, Pedro Tarres Claret – curiosamente, beatificato nella stessa celebrazione di Alberto Marvelli – ha tradotto in catalano la sua biografia, perché potessero conoscerlo i giovani della diocesi di Barcellona, che ha seguito prima come presidente, poi, diventato sacerdote, come assistente. Invece Carlos Manuel Rodríguez Santiago, beato portoricano, dopo la lettura di un’altra biografia di Frassati, ha guardato a lui per vivere pienamente la propria vocazione laicale, espressa principalmente con la passione per la liturgia e maturata dopo che il sacerdozio gli era stato precluso per ragioni di salute.
Infine, nemmeno un ragazzo del terzo millennio come il venerabile Matteo Farina è rimasto indifferente al suo esempio. Come lui, amava stare con gli amici e fare da “moralizzatore”, ma anche osservare la realtà giovanile e riconoscere come essa cercasse inconsapevolmente Dio.
Aveva quindi ragione il già citato Lazzati, commemorando Frassati a Palazzo Madama di Torino, a cinquant’anni esatti dalla morte: «Mentre il delinearsi del suo profilo umano, così chiaro, così nobile, così virile soggioga chi lo incontra, è giocoforza intuire, al di là della parvenza esterna, la luce della divina Presenza che riduce al silenzio, invitando a riconoscerne il segno, ad adorarlo e goderne».