Il gesuita padre Diego Fares
Quando gli si chiede di scegliere un’immagine della sua “vecchia conoscenza” Jorge Mario Bergoglio, padre Diego Fares, del collegio degli scrittori di La Civiltà Cattolica, non ha dubbi. Il sacerdote gesuita, poi vescovo e ora papa Francesco è di quelle persone che «ti porgono sempre la spalla perché ci mettono il cuore», sottolinea. E ricorda l’omelia pronunciata nella prima Messa Crismale dopo l’elezione a Pontefice, il 28 marzo del 2013: «Il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore». Da questo punto parte anche l’ultimo scritto di padre Fares, Dieci cose che papa Francesco propone ai sacerdoti, appena pubblicato da Áncora. Un libro denso eppure semplice che ricapitola i suggerimenti e le suggestioni del Pontefice ai pastori alla fine del ritiro del Giubileo dei sacerdoti, il 2 giugno 2016. Molte delle raccomandazioni padre Diego le sapeva già: conosce il “confratello Papa” dal settembre 1975, quando si presentò nella Casa provinciale di Bajo Flores di Buenos Aires per chiedere di essere ammesso nella Compagnia di Gesù. Negli ultimi 43 anni sono rimasti sempre in contatto, tanto che Francesco, sul volo di ritorno da Rio de Janeiro, ha consigliato ad un giornalista di leggere i libri dell’ex allievo. E in occasione di quest’ultimo libro, l’ha ringraziato con una lettera, pubblicata nel volume a mo’ di prefazione, in cui gli augura di «continuare ad aiutare a scoprire il volto di Gesù nel volto e nella vita dei più poveri» che, per vent’anni, il docente di metafisica Fares ha accompagnato, a Buenos Aires, nella casa rifugio per persone senza fissa dimora El Hogar de San José.
Padre Fares, lei che lo conosce bene, qual è il tratto distintivo dell’attuale vescovo di Roma?
La “cardiognosi”. L’espressione l’ha coniata un compagno gesuita. Bergoglio aveva ed ha la grazia di conoscerti il cuore quando ti guarda.
Può fare un esempio?
Il giorno della mia ordinazione era arrivata tutta la famiglia da Mendoza: avevamo in programma di pranzare insieme prima della Messa, alle 18. Chiesi a Bergoglio, che doveva essere il mio padrino di ordinazione, di confessarmi. Lui lo fece, poi dopo avermi dato l’assoluzione, si fece serio e mi disse: «Sei totalmente cosciente di quello che stai per ricevere?» Sentii un brivido corrermi sulla schiena. Cercai nel cuore la risposta più adatta. E mi venne solo: «A dire il vero no». Si mise a ridere e aggiunse: «Meno male». Anche io risi e finalmente mi rilassai: la sua domanda era riuscita a liberarmi dai nervi e dalle tensioni.
A proposito, tra le dieci proposte di Francesco ai sacerdoti c’è quella di “non perdere il senso dell’umorismo”. Perché mai?
Il buon umore sacerdotale nasce dal buon umore di Gesù ed è qualcosa di proprio dell’amicizia. In particolare dell’amicizia sacerdotale. La grazia di cui noi che abbiamo conosciuto Bergoglio da giovani siamo più grati è quella di essere diventati amici tra noi grazie alla confidenza e all’amicizia con lui, come padre e formatore. Amici nel Signore e per tutta la vita, senza gelosie e senza invidie, e con quella spontanea capacità di cominciare a ridere quando ci incontriamo.
I consigli del Papa ai sacerdoti sono espressi in una formula particolare: «Non perdete.. ». Perché questa ripetizione?
È un modo di consigliare nella prospettiva della grazia, non in quella del dover essere. Quando ci dice di non perdere qualcosa, ci sta dicendo che sono grazie che già abbiamo, che il Signore ci ha dato nel giorno dell’ordinazione.
Padre, se dovesse scegliere un momento che l’ha particolarmente colpita di questi primi cinque anni di pontificato?
La conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio in Cile e Perù. Il modo in cui il Papa si è esposto di fronte alle domande incalzanti dei giornalisti, nella cui insistenza si poteva discernere uno “spirito di accanimento”. Francesco ha parlato serenamente, ha spiegato le cose, ha chiesto perdono e ha aperto una nuova porta alle vittime di abuso. La sua umiltà fino all’umiliazione mi ha commosso.