sabato 29 giugno 2024
Parte dai luoghi frequentati dal Principe degli apostoli il nostro viaggio verso il Giubileo tra i segni della storia cristiana dell’Urbe
La chiesa di Santa Pudenziana, che sorge nel luogo dov’era una casa frequentata da san Pietro

La chiesa di Santa Pudenziana, che sorge nel luogo dov’era una casa frequentata da san Pietro - Siciliani

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In vista del Giubileo, inizia oggi un itinerario attraverso i luoghi della memoria cristiana a Roma. La Città Eterna felice e fortunata per la grazia della permanenza e del martirio di Pietro, il Principe degli apostoli e di Paolo, l’Apostolo delle genti. L’avvio del nostro viaggio d’altra parte avviene non per caso nel giorno in cui la Chiesa li ricorda. Quello che inizia oggi è dunque un itinerario che segue il filo d’oro che si dipana attraverso le vie regine di Roma, le sue case e le sue basiliche, i suoi vicoli disseminati di osterie e madonnelle, i suoi santuari, storie di persecuzioni e sorprendenti conversioni, con l’obiettivo di aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della «Roma onde Cristo è romano». Un aiuto a guardare le tracce che, nel tempo che scorre, sono rimaste, talvolta quasi impercettibili o nascoste, a testimoniare la vita di una storia di grazia che entra nella storia.


«O Roma felice, imporporata dal prezioso sangue dei due Principi! Non per il tuo splendore, ma per i loro meriti superi ogni altra bellezza del mondo».
(Inno ai Primi Vespri nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo)

«Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16, 16). Il Vangelo di Marco si chiude così, con gli apostoli che da Gerusalemme partono per l’annuncio della salvezza al mondo. Da lì a pochi anni anche nella capitale dell’Impero romano inizierà a risuonare il nome di Cristo. E a Roma, a gloria di Cristo, verserà il suo sangue quel Pescatore di Galilea che per primo, a Cesarea di Filippo, lo aveva riconosciuto Figlio di Dio. Papa Clemente Romano (88-97), nella lettera scritta ai cristiani di Corinto, colloca il suo martirio sotto il regno di Nerone, riferendo che egli venne condannato a morte a seguito della denuncia di altri cristiani. La lettera di Clemente è la più antica testimonianza sulla presenza di Pietro a Roma.

Nell’anno 56 la comunità dei cristiani di Roma era già numerosa, come attesta la lettera ai Romani di san Paolo. Una comunità che diviene fiorente proprio per la presenza e la predicazione dell’Apostolo Pietro. Ma quando arriva il Pescatore di Galilea a Roma? Dove soggiorna? Chi incontra? Quali luoghi frequenta? Della sua permanenza nella capitale dell’Impero si ha notizia da un’antica tradizione arricchitasi con il tempo di particolari leggendari. Le fonti antiche, tuttavia, consentono di rinvenire le tracce del percorso romano di Pietro. Seguendo le orme di questi documenti ci si può incamminare per le vie di Roma in cerca del suo passaggio, delle case dove trovò ospitalità e visse, delle sue prigioni fino all’ultimo suo viaggio verso la croce negli horti di Nerone in Vaticano.

Gli Atti degli Apostoli – che pure raccontano ampiamente i primi anni della vita della Chiesa – non ci dicono la data della venuta di Pietro a Roma. Sappiamo però che dalla Palestina Pietro parte prima della morte di Erode Agrippa I e il suo arrivo a Roma è collocato nell’anno 42. Per seguirlo nella capitale dell’Impero bisogna andare nella zona densamente popolata in epoca romana: il rione Monti. Sul tracciato dell’odierna via Urbana nella valle del rione tra il Viminale e il Cispio – il più alto dei tre colli che formano il pianoro dell’Esquilino, oggi occupato dalla basilica di Santa Maria Maggiore – correva al tempo di Nerone una via già allora antica, risalente all’epoca di Servio Tullio (VI sec. a.C.) il vicus Patricius. Lungo questa via ci fermiamo davanti alla facciata quasi nascosta della chiesa di Santa Pudenziana. Esattamente qui c’era il palazzo di Caio Mario Pudente, influente senatore romano, della famiglia degli Acilii Glabriones. È presso di lui, secondo la tradizione, che il primo Vescovo di Roma trovò alloggio e ospitalità e cominciò a esercitare il suo ministero. Qui Pietro battezza il senatore e i suoi figli insieme a molti altri e consacra anche quelli che divennero suoi primi successori: Lino, Cleto e Clemente. Gli scavi compiuti nel corso dell’Ottocento sotto il piano della basilica hanno restituito le tracce di un’abitazione privata di età repubblicana, risalente al I secolo a. C., e numerosi mattoni in terracotta con inciso il bollo delle figline (fabbriche di laterizi) di Pudente. Riguardo alle origini della chiesa di Santa Pudenziana gli storici affermano, infatti, che questa chiesa sorge sulla casa del senatore dove furono celebrate frequenti adunanze dei primi cristiani e dove fecero successivamente edificare un fonte battesimale.

Ma è credibile che un romano di rango senatorio come il senatore Pudente potesse essere amico di un pescatore giudeo venuto da una remota e disprezzata regione dell’Impero? Sì, lo è. Fin dai primi tempi dell’impero di Claudio l’annuncio cristiano ebbe a Roma accoglienza e diffusione non solo negli ambienti dei ceti medio-bassi ma anche in famiglie dell’aristocrazia romana. Clemente Alessandrino, nel libro VI delle Ipotiposi, afferma che tra gli ascoltatori della predicazione pubblica di Pietro a Roma c’erano «cesariani e cavalieri». Ed è ancora san Paolo nella seconda Lettera a Timoteo a citare tra i fratelli della comunità di Roma il nome del senatore Pudente. È certo dunque che per la predicazione di Pietro siano avvenute fin dall’inizio conversioni tra i liberti imperiali, nelle famiglie dell’aristocrazia senatoriale e della classe equestre, nelle cui domus la prima comunità cristiana trovò ospitalità e che l’abitazione di Pudente sia così divenuta una domus ecclesiae, una “chiesa domestica”, dove si incontrava e si riuniva la comunità cristiana per celebrare l’eucaristia e ascoltare la predicazione dell’Apostolo. La tradizione vuole che Santa Pudenziana sia la prima chiesa eretta a Roma. Certamente quella che fu l’abitazione privata del senatore amicus apostolorum è attestata come uno dei più antichi tituli, cioè una delle prime parrocchie romane. Il mosaico absidale, che raffigura Cristo in trono tra gli Apostoli, è il più antico esistente a Roma, e accanto a Pietro e Paolo si trovano anche le due figlie del senatore, le martiri sorelle Pudenziana e Prassede. A quest’ultima è dedicata l’antica chiesa di Santa Prassede, nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore, non lontano da Santa Pudenziana.

Dal rione Monti ci spostiamo ora all’Aventino. Attraversati gli imponenti resti del Circo Massimo e salendo verso il Giardino degli aranci si trova un’altra dimora, centro della predicazione apostolica: la domus Aquilae et Priscae, che un’antichissima tradizione identifica come luogo frequentato da Pietro durante la sua permanenza romana. Rinvenimenti archeologici compiuti nell’Ottocento presso la chiesa attestano la stretta relazione di questa domus con quella del senatore Caio Mario Pudente al Viminale. Sul titulus Priscae, di origine apostolica, sorge oggi la chiesa di Santa Prisca. Secondo la tradizione, il Principe degli apostoli l’avrebbe battezzata. Nell’iconografia la santa è spesso ritratta nell’atto di ricevere il battesimo da Pietro. Nella chiesa è tuttora visibile un fonte battesimale che si vuole sia stato utilizzato dal fondatore della Chiesa di Roma. Ma anche Paolo ha abitato questo luogo con lui. Prisca e Aquila erano i coniugi mercanti di pelli ricordati più volte con parole piene di gratitudine da Paolo nelle sue lettere. Pietro e Paolo avrebbero soggiornato presso di loro e «vi battezzarono molti che venivano alla fede», come mostrano anche i mosaici rinvenuti nel luogo rappresentanti pesci che traspaiono dall’acqua, noto simbolo di Cristo e della rigenerazione nella grazia sacramentale.

Alle memorie legate all’apostolato e al ministero di Pietro nella Città Eterna si affiancano quelle legate alle sua prigionia, delle quali ne accenno qui solo alcune. Sulla sommità del Fugutale, quella parte del rione Esquilino che prospetta sull’antica popolare Suburra, sorge la basilica di San Pietro in Vincoli, eretta tra il 430 e il 442 dall’imperatrice di Bisanzio, Eudossia. Un’iscrizione posta sul mosaico dell’abside, oggi perduta, ricordava il tesoro che l’edificio era destinato a conservare: «Questo luogo conserva intatte le sacre catene di Pietro, ferro più prezioso dell’oro». Si tratta delle catene che avevano legato il primo Vescovo di Roma durante le sue detenzioni a Gerusalemme e a Roma. Un’antica tradizione colloca in questa zona il luogo in cui Pietro fu carcerato. Nel I secolo, infatti, al tempo del martirio di Pietro, sorgeva in questa aerea la Regio III Augustea, la sede della Prefettura Urbis, la struttura di polizia che a Roma provvedeva all’ordine pubblico dove si svolgevano i processi di prima istanza. Vi erano situate le celle destinate a ospitare i condannati in attesa di giudizio. Qui, come attestano gli Atti dei martiri, molti cristiani furono processati. Non è dunque senza fondamento ipotizzare che proprio in questo luogo di antica venerazione si possa collocare storicamente la prigionia di Pietro.

Nei giorni che precedettero il suo martirio la tradizione indica poi diversi luoghi venerati fin dai primi secoli che videro il passaggio dell’apostolo Pietro. Queste memorie si concentrano tutte sulla regina viarum: la via Appia, che risulta sempre particolarmente legata al culto dell’apostolo. Tra queste suggestive memorie, circa un chilometro fuori Porta San Sebastiano, una chiesetta ricorda il noto episodio dell’apparizione di Cristo che predice il martirio a Pietro. Un testimone d’eccezione del culto popolare del Domine quo vadis? è Francesco Petrarca, che nel Giubileo del 1350 descrive l’emozione di poter vedere la pietra con le impronte di Cristo conservata sul luogo dell’apparizione. Secondo la cronologia tradizionale e liturgica, Pietro e Paolo furono condotti al martirio lo stesso giorno, il 29 giugno del 67.
È Tacito, negli Annali, a lasciarci l’immagine di quei giochi negli horti di Nerone nei quali anche il primo Vescovo di Roma versò il proprio sangue per Cristo: «A quelli che morivano veniva ad aggiungersi lo scherno: coperti di pelli di animali morivano sbranati dai cani, o erano appesi alle croci, oppure, quando calava il sole, venivano bruciati vivi per illuminare il buio della notte».
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