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Mette a nudo le contraddizioni del mondo, il messaggio giubilare in cui papa Francesco chiede di «cancellare» il debito economico che opprime intere popolazioni e quello ecologico che mette a repentaglio la vita sulla terra. Ne parla Emilce Cuda, teologa e segretario della Pontificia commissione dell’America Latina che ci riceve in Piazza San Calisto. All’ingresso, un dipinto della “Virgen de Guadalupe”, patrona del continente americano con le bandiere dei 46 Paesi dell’America Latina ai suoi piedi. Nel suo ufficio, un quadro con la frase «El todo es superior a la parte».
Emilce Cuda - .
«Potrebbe sembrare che il messaggio del Papa esca dagli schemi della religione. E lo fa, se per religione s’intende un insieme di pratiche ritualistiche» dice Cuda, che quindi riprende il pensiero di Benedetto XVI: «Il cristianesimo nasce come critica alla religione»; è una «teologia, un logos su Dio» attraverso «il mistero della Trinità e il Creato», ma anche «l’uomo e gli ecosistemi, messi a rischio dall’attuale modello di sviluppo». Un cristiano – sottolinea, riferendosi alla Laudato si’ – «non può non prendersi cura di questa natura ferita» riscattando «le persone oppresse dal peccato strutturale» che ha «indebitato i Paesi in maniera leonina, impoverendoli e sfruttandoli».
Non parla a nome proprio, la teologa, sottolineando che «chi opera nella curia romana agisce in comunione con il magistero di papa Francesco» collaborando con «atenei e imprese disposti a promuovere una transizione giusta». Benché «l’attuale modello di sviluppo non possa cambiare da un giorno all’altro, ci sono molti attori consapevoli della necessità di superare un’economia che uccide». Tuttavia, ad opporsi all’appello papale «c’è ancora una minoranza che possiede ingenti risorse» sottoponendo «l’agenda mediatica all’ideologia e strumentalizzando le tradizioni religiose». Ad oggi, denuncia Cuda, «le ricchezze del continente americano sono trasformate in rendite di alcuni e in valuta estera senza restare sul territorio». Così, «le politiche pubbliche non reggono perché lo Stato non può recuperare, attraverso le tasse, parte di quella ricchezza che fugge dal Paese». È in crisi l’idea stessa di democrazia. È un tempo in cui «molte persone pensano che la democrazia sia sinonimo di consumismo» dice Cuda. C’è addirittura chi, in America Latina, rimpiange le dittature militari che garantivano più sicurezza privata a scapito dell’enorme saccheggio di risorse naturali. La teologa cita quindi John Rawls ribadendo che la «posizione di vantaggio» mediante «la produzione di ricchezza» è legittima nella misura in cui genera «opportunità per altri», cosa che non segue all’odierna accumulazione della ricchezza, come dimostrano concretamente le guerre e i forti interessi finanziari che le muovono.
A rischio è la visione stessa dell’uomo. Ciononostante, «non può mancare speranza, virtù teologale e motore dinamizzante della politica». Occorre – come suggerito da papa Francesco ai movimenti popolari – «trasformare la passione in azione politica e «un percorso comunitario» volto a «organizzare la speranza». Traguardo possibile, se si è consci della propria fragilità: «Aiuterebbe molto decostruire lo stereotipo del povero come soggetto estraneo a cui mancano cibo e altri beni primari». Ad esempio, «chi nasce in America Latina eredita un debito pubblico impossibile da saldare». Oggi, infatti, «la povertà si traduce nel debito, che spinge il figlio del povero a entrare in circoli di microcriminalità e quello del ricco a sostenere, previa formazione in Occidente, i reati contro la Casa comune». È necessario, conclude, «parlare delle cause della povertà più che delle conseguenze. E per farlo bisogna parlare della ricchezza. Ci hanno provato in pochi, dopo Adam Smith».